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Duchamp. Rrose Sélavy come icona contro maschilismo, antisemitismo e omofobia

14/3/2020

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Marcel Duchamp visse dal 1887 al 1968, principalmente tra Francia e Stati Uniti. Si considererà uno scacchista, un umorista anche, ma quasi mai un artista, e assolutamente non un pittore. Duchamp dice di non credere nell’arte, e di considerarsi un non-artista (ma mai un anti-artista), non esattamente a causa di un rifiuto dell’arte, ma in direzione di una considerazione dell’arte nelle sue diverse possibilità. E’ per questo che conia le definizioni di inestetico, anartistico.  L’opera d’arte, con Duchamp, pone il problema estetico, teorico e storico della sua riconoscibilità: può essere qualunque cosa. Diventa anche involontaria: quando mette la ruota di bicicletta sullo sgabello vuole solo osservare il suo moto, e inventando il ready made non ha alcuna intenzione di creare un’opera d’arte.
Foto
Rrose Sélavy, 1921, scattata dal fotografo Man Ray
RROSE SELAVY
Nel 1920 crea il alter ego femminile: Rose Sélavy. Il nome non è altro che l’ennesimo scherno di Duchamp, che aveva già nascosto in Fountaine e in molte altre opere dei giochi di parole e doppi sensi, dai quali era indubbiamente affascinato - ne è prova la sua attività giovanile come realizzatore di rebus. Rose è l’anagramma di eros, altro elemento centrale per la ricerca di Duchamp, che rappresenta una sorta di motore propulsivo, primordiale, che aziona il meccanismo della sua opera-testamento Il Grande Vetro. E Sélavy si pronuncia esattamente come c’est la vie. Quindi: Eros c’est la vie, ovvero eros è la vita. Nel 1921 realizza Why not sneeze Rose Sélavy, ready made realizzato per la sorella di Katherine Dreier: una piccola gabbia di metallo contenente piccoli cubi di marmo e un termometro, che secondo Duchamp serviva a registrare il freddo del marmo, dal momento che è il freddo a provocare gli starnuti.
Foto
Marcel Duchamp, Why Not Sneeze Rose Sèlavy 1921, replica del 1964
Il 1921 è anche l’anno in cui Duchamp inizia a farsi immortalare nei panni di Rose. In quegli anni, l'ideale di artista era quello di un uomo virile, con una forte individualità, contrapposto a donne, ebrei ed omosessuali. Nella sua opera Sesso e carattere Weiniger disprezzava proprio queste tre categorie, additandole come creature lussuriose ed ambivalenti, accomunate dall'assenza di virilità. Duchamp sovvertì le regole; godeva di una discreta fama, era considerato unanimemente un artista, distrusse gli schemi imposti e diventò Rose. La scelta di una figura femminile, dal nome ebraico, incarnata da un artista, era in grado di veicolare critiche sociali rivoluzionarie e senza tempo. Duchamp, infatti, non diede solo appoggio ai "meno virili", dimostrando l'assenza del nesso obbligatorio fra artista e mascolinità, ma mise anche al centro minoranze, lasciate spesso ai margini, o considerate negativamente, dando loro voce.
In particolare la figura della donna veniva strumentalizzata a fini commerciali. Lo scopo della sua immagine era quello di sedurre ed attrarre, incarnando il desiderio, associato poi alla merce. 

Ancora una volta Duchamp entrò a gamba tesa per mescolare i ruoli, con l’opera Belle Haleine, Eau de Voilette,
una bottiglia di profumo su cui incolla la fotografia di Rose Sélavy scattata da Man Ray. Sul retro attacca un’etichetta su cui il nome di Rose è diventato Rrose, gioco di parole con “arouse” (eccitare). Essendo il profumo rivolto ad un pubblico femminile, l’artista coniuga la concezione della donna come oggetto del desiderio con quella della stessa come soggetto desiderante.

Foto
Il profumo Belle Haleine, 1921
Arrivati a questo punto, è difficile non rimanere affascinati dalla modernità del pensiero di Duchamp e dalla semplicità con cui riuscì ad intrecciare così tanti messaggi inclusivi, ma occorre ricordare un'ultima cosa; dietro alla figura di Rrose si nascondeva Marcel. Il cerchio si chiude, dunque, tramite questo "inganno", volto a condannare sia la modificazione dell'immagine femminile, che la stereotipizzazione della stessa. Quest'ultimo messaggio è ad oggi, più importante che mai. In un mondo in cui veniamo bombardati da immagini fittizie ed illusorie, in cui il minimo difetto è da nascondere, in cui i messaggi inclusivi vengono spesso considerati "di nicchia", forse avremmo bisogno di Marcel/Rrose che, con la disinvoltura e la sfacciataggine che l'hanno sempre contraddistinto, sbeffeggiasse la nostra ricerca della perfezione standardizzata. Gli basterebbe essere sé stesso e ricorderebbe a tutti noi che mostrare la nostra diversità senza paura è l'arma più forte che abbiamo per cambiare il sistema.

- Francesca Rigosi 
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