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La danza contemporanea libera i nostri corpi. Ed è Merce Cunningham ad aprire il sipario

12/6/2020

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Il corpo è una parte essenziale del nostro agire quotidiano; secondo il filosofo francese Maurice Merleau-Ponty è proprio attraverso lui che percepiamo l’ambiente circostante, venendo a conoscenza di ciò che ci sta intorno. Questa operazione si rivela in tutta la sua unicità dal momento che manifesta una sintesi piuttosto emblematica: il corpo che percepisce è al tempo stesso soggettività ed oggettività. Durante questa esperienza l’uomo ritrova sé stesso acquisendo gradualmente coscienza della propria capacità percettiva e dell’esistenza dell’ambiente circostante, muovendosi nel mondo e venendo a contatto con gli elementi di cui è costituito.
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© Tania Franco Klein, Mexico, Shortlist, Professional competition, Creative, 2018 Sony World Photography Awards
Il pensiero culturale emerso a partire dal Novecento guarda la fisicità attraverso una prospettiva diversa, rivestendola di nuovi significati; il corpo diviene protagonista di poetiche riunite sotto l’etichetta di “espressione corporea”, che nascono come contestazione del corpo inteso come pura esibizione di capacità tecniche e fisiche, per divenire specchio di un sentire interiore che non tarda ad illustrarci il suo rapporto con il mondo. In particolare, le ricerche nate in seno alla danza offrono contributi determinanti per l’emergere del concetto di espressione corporea; i filoni promossi nella seconda metà del Novecento sia negli Stati Uniti d’America che in Europa, propongono un nuovo modo di intendere non solo il corpo, ma anche il movimento, aprendo il sipario ad uno scenario del tutto inedito: la danza contemporanea. Risulta interessante il contesto americano poiché contrassegnato da un graduale svincolamento della funzione narrativa del balletto, che permette ai ballerini di esprimere liberamente e in maniera istintiva la loro gestualità e individualità; la riflessione si sposta su elementi quali la temporalità, la velocità di esecuzione e, soprattutto, lo spazio che va creandosi attraverso la coreografia. Simili caratteristiche confluiscono nella proposta finale di Merce Cunningham, ballerino e coreografo statunitense considerato pietra miliare dell’avanguardia coreutica americana. 
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Merce Cunningham. Photo by Mark Seliger 2002 © https://www.mercecunningham.org/images/photo1.png
L’esempio di Merce Cunningham libera la figura del ballerino da una serie di convenzioni legate soprattutto al balletto classico e tradizionale. Il danzatore riscopre un rapporto nuovo con il proprio corpo, strumento di comunicazione potentissimo; ora è il ballerino stesso il fautore dei propri movimenti e da qui in poi va inaugurandosi un nuovo filone destinato ad influenzare tutte le generazioni successive fino ai giorni nostri. Merce Cunningham insoddisfatto della formazione accademica tradizionale, spinge i danzatori ad esplorare le proprie capacità espressive, promettendosi di far emergere in loro quelle caratteristiche e quelle gestualità che li rendono unici. Dopo l’apprendistato con Martha Graham, il ballerino si unisce al compositore John Cage, grazie al quale si svincola dai metodi tradizionali della modern dance sull’esempio di Martha Graham, per elevarsi a un’idea pura di danza, capace di imporsi come sostanza a sé rispetto a suono e coreografia stravolgendo, così, l’idea di spazio e di corpo. Il corpo presentato da Merce è un corpo che mostra un linguaggio del tutto innovativo che si basa su una sequenza di passi e gesti piuttosto meccanici e dettati dal caso; i movimenti prendono ispirazione dalle attività quotidiane ed è per questo che il ballerino statunitense va alla ricerca di artisti che si mostrino nello stato più umano possibile, anziché in uno stato di perfezione. La casualità diviene strumento creativo e le coreografie, completamente autonome rispetto allo spazio circostante e alla musica di sottofondo, portano il ballerino ad esplorare le infinite possibilità non-intenzionali dell’arte del movimento. 
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Merce Cunningham in Walkaround Time. Photo by James Klosty 1968 ©https://www.mercecunningham.org/images/archives_test3.jpg
Tra gli anni ’70 e ’80 si diletta nella realizzazione di opere studiate appositamente per essere filmate da una telecamera grazie all’aiuto di Elliot Caplan e dell’artista visuale Charles Atlas, pioniere della media-dance specializzata nella ripresa di coreografie attraverso videocamera. La telecamera sostituisce l’idea del pubblico dal vivo, posizionandosi al centro dell’azione come nuovo spettatore; attraverso di essa Merce ha la possibilità di concentrarsi di volta in volta su soggetti differenti, ingrandire e spostare l’attenzione su un particolare dettaglio, accompagnando i gesti e i movimenti dei ballerini e instaurando di fatto un nuovo rapporto tra danzatore e fruitore dell’opera.
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Merce Cunningham Dance Company in Points in Space. Photo by Lois Greenfield (1987)
«Dal corpo chiuso al corpo diffuso» così recita un saggio di Angela Vettese che apre una riflessione decisiva sul XX secolo: esso diviene scenario di una nuova fisicità che, come dice il titolo stesso, porta il corpo da chiuso, ovvero da una corporeità ristretta in termini etici, morali, estetici, ad un corpo aperto ossia ad una fisicità che finalmente si diffonde, manifestandosi in tutta la sua libertà. Sulla scia dell’ondata reazionaria, già manifestata da personalità femminili come Martha Graham che liberano letteralmente e metaforicamente il piede dalle convenzioni della scarpetta da ballo classico, Merce Cunningham si fa testimone di una danza performativa, presente oggi in tantissimi ballerini che attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, in grado di coinvolgere un pubblico sempre più ampio in maniera globale ed istantanea, ci incoraggiano a sperimentare il nostro corpo e le possibilità che questo manifesta. Tra questi troviamo una danzatrice giovanissima come Anita Lorusso che sulla sua pagina Instagram esorta ognuno di noi ad esplorare la propria identità attraverso il movimento; nelle brevi sequenze visive che Anita propone il suo corpo si abbandona ad un flusso di coscienza, un movimento totalmente casuale e autonomo rispetto a coreografia o musica, dettato semplicemente dal suo estro interiore. Il risultato è quello di una danza che si allontana da ogni tipo di vergogna o senso di pudore e che parla direttamente al suo interlocutore: l’invito è quello di conoscere un po' meglio sé stessi, comunicare con il proprio corpo così bello e ricco di possibilità lasciandolo libero di esprimersi.  
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Screenshot dalla pagina di Anita Lorusso

- ​Giulia Moscheni
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