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La distanza assuefatta di Marc Trujillo. Dalla desertificazione all’horror vacui

1/5/2020

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Ciclici come l’attimo che si rinnova sempre in sé stesso sono i non-luoghi e i peccati di gola di Marc Trujillo, votati a consumarsi nell’incessante atto sacrificale della contemporaneità. Veloci, sempre più veloci sfiorando la velocità della luce fino a quando a un tratto il mondo improvvisamente si riversa su stesso e tutto si blocca, immobile come una notte senza sogni e senza stelle. Surreali ed estremamente riflessive sono le opere dell’artista americano Marc Trujillo (classe ‘66) che nella sua prima personale romana Fast, a cura di Camilla Boemio, presso la galleria Bruno Lisi fa strage di cuori. Hamburger, tacos, chips, nachos, coca cole con le loro carte disfatte e i loro contenitori violati diventano un ibrido tra nature morte del 21simo secolo e tableaux vivants della contemporaneità sopra i loro intatti vassoi di plastica, mentre allontanandosi si spiano nell’intima distanza della strada sportelli e finestre di fast food, dove ignari continuano le loro mansioni quotidiane camerieri distratti.
Foto
Marc Trujillo, Combo #1, 16x20 inches oil on panel, 2015
Prossimità e distanza si alternano in un labile equilibrio contendendosi la scena, e generando l’ambiguità di un duplice senso, che scambia i termini dell’equazione, allontanando ciò che avvicina. La complessità e la raffinata perizia tecnica nella rappresentazione del dettaglio invita come il canto delle sirene, il fruitore ad avvicinarsi per apprezzare ogni singolo elemento ma accentando l’invito il punto di vista si sposta e il senso muta nuovamente ampliando il campo di percezione. Permane quel senso di distacco e di sognante irraggiungibilità alla Grande Gatsby che trafigge e avvolge ogni cosa. Un evidente e spesso filo rosso difatti lega l’esperienza dell’artista a quella del noto connazionale Edward Hopper (Nyack 1882- Manhattam 1967), alle sue nitide e rarefatte atmosfere filmiche così conturbanti e suadenti, alla solitudine nostalgica ed estraniante di quel paesaggio americano intriso di desiderio e illusione, e a quell’America passata, annichilita e sul baratro che non è poi così lontana da quella attuale. Seppure prende le mosse proprio da quest’ultimo e a volte sembra seguirlo fin troppo da vicino il lavoro di Trujillo è sorprendentemente unico, pieno di quel fascino ambiguo delle contraddizioni che costruiscono la realtà dell’oggi. Osservando le tele dell’artista si intraprende un percorso senza una precisa destinazione attraverso i non luoghi della contemporaneità, gli stessi teorizzati dall’antropologo e filosofo francese Marc Augé, luoghi che sono al contempo intersezioni e incroci di passaggio, dove si attiva quel processo di smaterializzazione dell’identità e della storia, capace di creare un fermo immagine fatalmente eloquente di ciò che vuol dire vivere nella società post-umana.
Foto
Marc Trujillo, 300 Lomas Boulevard NE, 8x19 inches oil on panel, 2018
Non ci sono relazioni, ma solo connessioni come specifica il sociologo polacco Zygmut Bauman, così nell’opera di Trujillo la presenza umana è solo citata in lontananza dal rimando che ne fa lo street food solitario sul tavolo e da quelle asettiche presenze fantasmatiche che si aggirano robotizzate nella loro bolla impenetrabile, quasi come fossero pupazzetti privi di consapevolezza intrappolati sotto la cupola di una palla di neve. Il non-luogo prende il sopravvento, e plasmando un nuovo tipo di individuo, istituisce il modello societario. La staticità viene bandita in nome di una velocità fittizia che in realtà non produce, ma svuota mentre il tempo non scorre più in avanti, ma si fossilizza su un reiterato ed eterno presente facendo perdere il senso della costruzione, della progettazione e della crescita. Sorprendente è il modo in cui Trujillo centri il problema, cristallizzando quello stesso attimo presente del contemporaneo nel quale si perdono storie e misfatti; e se l’artefice del non luogo è il capitalismo, è dal presente che scaturisce l’horror vacui creando quella indecifrabile assenza di senso.
Foto
Marc Trujillo, 1919 Pico Blvd, 11x8 oil on panel, 2018
Il vuoto diviene elemento costruttivo del non-sense e quindi portatore di sensazioni contingenti e contrastanti nel medesimo tempo. Sogno o incubo? Si cade ipnotizzati e impotenti di fronte all’ineluttabilità del tempo sospeso, un istante che non ha fine né svolgimento. Incantarsi sulla bellezza delle vedute equivale a perdersi nel non-luogo, ad abbandonare la propria identità in una simulazione esperienziale da brividi attraverso le luci e le ombre di una fiamma che continua ad attrarre giorno per giorno i destini dell’essere umano nel luccicante luna park del consumismo. Quella di Trujillo è un’incisiva critica al sistema capitalistico, che promette e illude, distruggendo speranze e vite sulla giostra dell’ambizione e dell'obiezione di coscienza. Le carte violate sul vassoio, la stanchezza e lo straniamento dei lavoratori e le deserte stazioni di fast food sono una chiara fotografia del prodotto di questa società post-moderna, proiettata ad altissima velocità verso un futuro inesistente. Ad evidenziarlo sono anche i panini e il cibo spazzatura che oggetto del desiderio della collettività non aspetta altro che il suo momento per essere sacrificato all’altare del capitale, mentre coloro che mangiano e guardano agiscono quell’atto conclusivo in cui l’azione converge e coagula nell’appagamento di un desiderio futile come il sangue che riempie le ferite. Opere così parlano all’umanità, della sua stessa perdita, dell’anestesia dei valori, del decadimento e dell’avvento dell’oscurità. Diviene quindi di vitale importanza fermarsi, e perdersi in quell’attimo irreale che avvolge ogni senso e speranza, non tanto per rimanerne intrappolati, ma per imparare a distaccarsi dall’attrattiva dell’illusione. Solo rallentando l’attimo e vivendolo si diviene in grado di analizzarlo con occhio critico. E forse è proprio in questa situazione improvvisa di quarantena che bisogna interrogarsi su quegli aspetti che presi come quotidianità non vengono il quasi più delle volte considerati, e riflettere su ciò che è la fuori, su ciò che vuol dire Vita e non vivere e su ciò che essa comporta. Solo così l’incantesimo può sciogliersi e può tornare a splendere la luce. 
Foto
Ritratto di Mark Trujillo
- Erika Cammerata
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