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La natura intrappolata dalla civiltà: alla scoperta dell’arte di ROA

16/5/2020

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Africa, America del nord, Europa, Oceania: quasi tutti i continenti sono stati toccati dall’arte di ROA, street artist classe 1976 che inizia il suo percorso a Ghent (Belgio), la sua città natale. La personalità di questo artista grida molto forte nel panorama urbano: un unico soggetto - quello animale, rigorosamente in bianco e nero - si innalza sui muri in stridente contrasto con il coloratissimo mondo dei murales urbani contemporanei. La sensazione che si prova osservando per la prima volta una sua opera è di oppressione, quasi di soffocamento. I suoi animali, infatti, sembrano essere sempre troppo grandi per la superficie che li contiene, si ritrovano costretti in uno spazio che non gli appartiene, e assumono posizioni scomode, raccolte, quasi innaturali
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ROA, Sleeping Fox, Bristol
​Il concetto che l’artista vuole esprimere appare chiaro. Gli edifici costruiti dall’uomo hanno colonizzato luoghi prima riservati alla natura, obbligandola a vivere in ambienti sempre più angusti, non sufficienti a garantirne l’incolumità e il benessere, e gli effetti catastrofici di questa invasione emergono con crudezza in alcuni murales riservati alle carcasse animali.
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​ROA, Chicago
Risvegliare le coscienze riguardo le sorti del nostro pianeta sembra dunque essere il fine ultimo dell’arte di ROA, percorrendo una via che non contempla l’attivismo ambientalista, ma che pare essere altrettanto efficace. Come tante lancette zoomorfe, i suoi soggetti fuggono ogni stratificazione allegorica, per mostrare semplicemente allo spettatore una decadenza di cui lui crede di non essere responsabile, ricordandogli che c’è bisogno di agire più in fretta, e che nonostante la consapevolezza ambientale non sia mai stata tanto alta e diffusa come oggi, le azioni di salvaguardia dell’uomo sono troppo pigre, e falliscono nel frenare la sua parte distruttiva. ROA risulta estremamente lucido riguardo le conseguenze scellerate di quest’ultima, e va oltre la sterile rappresentazione di una natura morente, concentrandosi spesso sul tema dello scardinamento degli ecosistemi, a causa del quale l’habitat impazzito, riflesso della follia umana, crea confusione nei comportamenti animali. L’artista ottiene come risultato immagini in cui più specie si affollano, senza distinzione o rispetto degli spazi vitali di ognuna, e dove persino la necessaria separazione tra preda e predatore sembra essere annullata.
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ROA, Londra
Ma tale perdita di orientamento, a causa della quale la natura pare andare contro sé stessa, non esita ad acquisire connotati d’amara ironia, talvolta ricordando all’uomo di essere egli stesso un animale, e che non importa quanto spazio riesca a conquistare, in orizzontale o in verticale, prima o poi si scontrerà con le barriere da lui precedentemente imposte.
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ROA, Berlino
Il sottolineare le assonanze tra la condizione animale e quella dell’essere umano non si esaurisce però in una satira del comportamento di quest’ultimo, e spesso diventa manifestazione di un’elucubrazione filosofica sull’ineluttabilità della morte e sull’inesorabile scorrere del tempo che porterà al decadimento di natura e civiltà insieme. Gli animali oggetto di questa riflessione vengono spesso rappresentati come corpi con le ossa spolpate ma vivi, che perdono quindi l’obiettivo di denuncia e si trasformano in figure simboliche, e che assumendo talvolta posture proprie dell’uomo, di attesa o di rassegnazione,  si elevano a monumentali memento mori.
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Lexington (USA)
La vena umoristica di ROA d’altra parte gli permette di giocare con il contrasto tra soggetto e luogo della rappresentazione, sovrapponendo così al tema ambientalista riflessioni di tipo estetico. Non è raro, infatti, riscontrare nei suoi murales scenari onirici in cui gli animali, oltre a essere intrappolati nello spazio a loro assegnato, sembrano anche sospesi nel vuoto. Di conseguenza se ne ricava un effetto di straniamento dato dal contrasto tra un ambiente periferico, popolato da edifici in degrado, e alcuni tipi di soggetti animali che la memoria collettiva associa a contesti circensi patinati, felliniani, o a certi quadri surrealisti.
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ROA, Bangkok
Altre volte ROA gioca con i simboli rielaborandoli in base allo spazio a sua disposizione, come nel serpente qui sotto riportato, ispirato all'antica icona dell'uroboro, emblema del rinnovamento e della distruzione ciclica delle energie dell'universo. Quasi rivoluzionando il concetto, però, ROA rigetta la perfetta forma circolare, necessaria nell'uroboro all'espressione figurativa del moto perpetuo, per adattare il corpo del serpente ai contorni irregolari dell'edificio. L'animale dunque sembra finire a mangiarsi la coda non per volontà, ma perché costretto dalle imposizioni dello spazio. Obbligato a cambiare continuamente direzione, ogni volta che incontra una barriera architettonica sul suo cammino, il moto del serpente diventa confusionario e frenetico, e quasi ricorda il popolare videogioco Snake, dove il serpentello  era di continuo costretto a cambiare direzione a causa degli ostacoli dell'angusto spazio virtuale in cui era recluso, fino a scontrarsi con sé stesso.
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ROA, Perth (Australia)
Ma la personalissima riflessione estetica dell’artista sullo spazio va oltre. Molte delle sue opere non vengono infatti realizzate su superfici piane, ma spesso scegliendo di proposito strutture urbane dal profilo frastagliato. L'artista ne segue le linee irregolari, che dettano di conseguenza la posizione in cui il soggetto deve essere ritratto e gli forniscono un supporto su cui adagiarsi, incrementandone il realismo, così come la potenza della denuncia che reca con sé
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ROA, Ghent (Belgio)
Pertanto, sfruttando pienamente tutte le potenzialità del panorama urbano, ROA nutre efficacemente la metafora di una civiltà che distrugge l’integrità della natura. Spesso infatti è l’irregolarità stessa delle componenti degli edifici a causare la morte degli animali rappresentati, tranciandone i corpi, senza esercitare un agire distruttivo, ma semplicemente esistendo in quella forma; e infatti l’uomo non deve per forza danneggiare intenzionalmente, perché è la sua stessa esistenza a devastare irrimediabilmente il pianeta.
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ROA, Miami
Non a caso l’unico colore talvolta ammesso da ROA è il rosso del sangue o delle interiora, resi visibili figurativamente proprio dal profilo degli edifici, che pur nella loro stasi imprimono nell’occhio dello spettatore l’illusione di un dinamismo autonomo, che quasi eclissa la mano dello street artist. Il risultato infatti è che, nella lotta tra l’atto creativo e lo spazio della rappresentazione, sia stato quest’ultimo ad avere la meglio indirizzando con la sua struttura specifica le modalità esecutive dell’artista.
Questo peculiare utilizzo dello spazio comporta degli interrogativi anche sulla questione della conservazione dei murales, la cui integrità è garantita solo a condizione che la forma dei palazzi non venga mai alterata. La potenziale futura demolizione di certe parti del paesaggio urbano rende da sempre la sopravvivenza della Street art un’incognita, e per questo si sono sviluppate negli anni linee teoriche spesso discordanti, volte a stabilire come e se questa debba essere garantita, o se per sua natura quest’arte debba rimanere indissolubilmente intrecciata alla vita delle superfici su cui è nata. Tuttavia l’opera di ROA va oltre; non si tratta di distruggere intere porzioni di spazio, basta alterare in minima parte il profilo degli edifici, o eliminarne alcune componenti (ringhiere, finestre, insegne) per incidere irrimediabilmente sul senso dei murales, la cui perdita di significato potrebbe influenzare l’effetto che questi avranno sui posteri e sulla più o meno ferma volontà di questi ultimi di salvaguardarli. L’arte di ROA rimarrebbe integra solo se l’azione dell’uomo (costruttiva o distruttiva che fosse) si fermasse, esattamente come la natura che rappresenta, perché arte e vita si equivalgono.
Ritroviamo questo concetto anche spostando lo sguardo dai muri cittadini all’ambiente museale. ROA ha partecipato a diverse esposizioni dimostrandosi un artista capace di veicolare efficacemente i suoi contenuti anche in contesti completamente diversi da quello proprio della Street art. Nella sua ultima mostra, Annihilation, inaugurata a marzo presso la Backwoods Gallery di Melbourne, in Australia, ROA trasferisce con intelligenza i nuclei tematici riguardanti il legame tra luogo e protagonisti della rappresentazione allo spazio espositivo tradizionale

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ROA, Backwoods Gallery, Melbourne
I soggetti non vengono infatti dipinti su un’unica superficie, ma ricomposti, come in un puzzle, tramite l’accostamento o la sovrapposizione di vari pannelli in numero variabile. Alcuni di questi pannelli sono stati inseriti in due guide lineari, pertanto è possibile farli scorrere, separando varie parti dei corpi degli animali ritratti, ancora una volta dilaniandone metaforicamente le carni. Anche qui è la particolare forma del supporto, e quindi del luogo della rappresentazione, a garantire l’integrità della fauna mostrata, e di nuovo è l’azione umana l’unica responsabile della lacerazione dell’opera e del suo contenuto. Per garantire la salvaguardia della natura, l’essere umano deve dunque scegliere di non agire su di essa, così come deve scegliere di non spostare i pannelli per poter ammirare le figure nella loro interezza. I tempi sono ormai maturi per trasferire questa scelta dalle gallerie e dai musei a ogni ambito del quotidiano, per decidere di non dividere i tasselli che compongono il nostro pianeta ma di ricomporli, tornando ad avere rispetto dello spazio della natura e a far sì che questo non diventi mai più angusta prigione costruita dal progresso umano. Compito di un’arte come quella di ROA non è fungere da velo su cui proiettare la propria indifferenza, giustificata da un timido concordare con i concetti da essa espressa, ma fornire uno specchio in cui l’uomo possa osservare le conseguenze delle proprie azioni sul suo mondo prima ancora di compierle. Se porre attenzione al monito dell’arte, però, resta a noi.

- Dionisia Matacchione

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