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Rupi Kaur è una poetessa, artista e performer, ma prima di tutto è stata una bambina indiana, strappata alle sue radici a soli quattro anni, quando emigra insieme alla sua famiglia nell’America del nord. Nasce nel 1992 in India, precisamente nella realtà Sikh del Punjab, ma trascorre tutta l’infanzia e l’adolescenza in Canada, dove si avvia il suo percorso di formazione. L’amore per la scrittura in versi emerge già all’età di diciassette anni, quando per caso, durante un recital di poesie, legge per la prima volta un suo testo in pubblico. Al college, mentre studia poesia, sperimenta molteplici forme d’arte, tra cui pittura, grafica, fotografia e si avvicina al mondo social di Instagram: da questo momento, abbandona la sua comfort zone e nel Novembre 2013, pubblica la sua prima poesia. Rupi Kaur inizia a scrivere inizialmente nella sua lingua madre: la gurmukhi, una scrittura punjabi che non necessita di alcun segno d’interpunzione oltre al punto. Le lettere affiancate creano un bellissimo disegno e non vi è distinzione tra maiuscole e minuscole, sono tutte uguali e trasmettono l’idea di semplicità e simmetria. L’artista, pur amando le poesie in lingua punjabi, non riesce ad esprimersi in modo così profondo e uterino come farebbe scrivendo in inglese, di cui ha una maggiore padronanza. Quindi, decide di introdurre nelle opere inglesi le caratteristiche della lingua madre, utilizzando solo i punti e le minuscole per avere uguaglianza tra le lettere e per creare pagine che rispecchino i suoi personali canoni estetici. É così che nasce la forma visiva di Milk and honey: questa raccolta viene autopubblicata nel 2014, mentre frequenta l’University of Waterloo, ed è un manuale per donne e uomini di qualunque età, razza, condizione sociale, religione. Un modello di sprezzante coraggio e rinascita dalle ceneri di una vita ormai a pezzi, con il suo stile semplice ma ermetico, pregno di sentimento e rivoluzionaria ribellione. Un percorso emozionale che parla di amore, perdita, disperazione, guarigione, femminilità e migrazione, diviso in quattro capitoli: il ferire, l’amare, lo spezzare, il guarire, ognuno dei quali cerca di trattare e guarire un dolore diverso. Il suo libro è inteso come un unico intimo viaggio in cui ogni poesia trova la giusta cronologica collocazione e in cui la dolcezza pervade ogni riga, basta essere disposti cercarla e riconoscerla. Il titolo, milk and honey, è ispirato ad una sua celebre poesia, scritta nel 2012, in cui questa espressione viene utilizzata come metafora per descrivere l’incredibile forza delle vedove Sikh sopravvissute al genocidio del 1984. L’autrice si chiede come queste donne riemergano con forza e resilienza, fluide come il latte e dense come il miele, scampate a violenze e torture e reduci dall’uccisione di figli e mariti. Esplora così la sua femminilità ripensando a quanto hanno sofferto le donne intorno a lei e a quanto siano censurate da una società che invece dovrebbe supportarle. Rupi Kaur spopola su Instagram nel 2015 riuscendo a collezionare più di un milione e mezzo di seguaci, che le valgono ufficialmente l’appellativo di insta – poet. Precisamente quando le viene censurata una fotografia per un progetto artistico, che mostrava quello che sembrava essere sangue mestruale sui pantaloni della sua tuta. L’artista risponde alla censura pronunciando queste parole che suonano come un monito: «Non chiederò scusa per non aver nutrito l’ego e l’orgoglio di una società misogina, che accetta la figura di una donna svestita ma si scandalizza per una piccola perdita di sangue![1]». Questo evento ha scatenato un’ondata di supporto verso la poetessa tanto da attirare l’attenzione dell’editore Andrews McMeel, che decide di sostenerla ripubblicando milk and honey nel 2015. La particolarità di questa raccolta è che ogni poesia è accompagnata da un disegno che ne enfatizza il contenuto: le sue illustrazioni, dai tratti morbidi e sottili, stilizzati ma potenti, sono pregne di purezza e semplicità. L’artista spiega che i disegni sono arrivati prima della poesia, quando aveva appena cinque anni e la madre le diede un pennello, dicendole: «Disegna ciò che vuole il tuo cuore»[2]. Aprendo gli album da disegno delle superiori, Rupi Kaur ha trovato l’ispirazione da quelle illustrazioni con pennarello rosso, che in milk and honey, ha deciso di trasporre in digitale, ispirandosi all’artista Amrita Sher-Gil, pittrice ungherese naturalizzata indiana. Il suo è un lavoro di arte performativa: attraverso poche potenti righe, seguite da uno schizzo, nascono scenari densi di significato. L’idea di una poesia disegnata, estremamente moderna ed innovativa, ha alimentato il successo della poetessa, non solo online. Milk and honey, infatti, nella sua edizione originale, ha venduto mezzo milione di copie ed è stato inserito nella classifica del New York Times, rimanendovi per cento settimane consecutive e raggiungendo anche la prima posizione. La copertina del libro, come la palette di colori scelta, è un rimando ai post che la poetessa pubblica su Instagram, dove prevale l’essenzialità del bianco e del nero. I testi sono posizionati sempre in alto a sinistra, così come le illustrazioni appaiono in basso a destra. Le poesie di Rupi Kaur sono curative, una vera e propria scorciatoia per dare un senso a emozioni o idee difficili da esternare. Questo viene riconfermato nella seconda raccolta, The sun and her flowers, pubblicata nell’Ottobre 2017 e divisa in cinque parti: l’appassire, il cadere, il radicare, il crescere, il fiorire. Il ciclo dei fiori non è altro che una metafora di rinascita, di umanità rinnovata che ha bisogno di piegarsi ed appassire prima di rifiorire. Le sue parole aprono ferite mai del tutto rimarginate e spingono a credere nella forza dell’amor proprio, dell’autostima giorno dopo giorno. Nel secondo libro l’artista introduce già dalla copertina pennellate di colore, pur mantenendo il suo stile geometrico e minimal. Le api in milk and honey hanno impollinato i fiori, ora rigogliosi, in the sun and her flowers. Il titolo, dunque, nasce dal gioco con la parola sunflowers, ovvero girasoli, che inseguono il sole e la sua luce e che si voltano all’ora del tramonto. Home body, pubblicata pochi giorni fa, è ultimo lavoro di Rupi Kaur in cui sostiene sopra ogni cosa la crescita del proprio io, considerando il corpo come la casa più sicura in cui potremmo mai abitare. È una raccolta di conversazioni crudeli e profonde con noi stessi, in cui si interroga sul ‘qui e ora’, cercando di abbracciare il cambiamento senza timore, circondandosi di amore, famiglia e accettazione. La potenza di Rupi Kaur, delicata ma sconvolgente, si sprigiona quando recita le sue poesie sul palcoscenico[3], quando ha la possibilità di incrociare lo sguardo dei suoi lettori e delle sue lettrici, che ormai la considerano esponente di un nuovo femminismo: lei stessa ama definirsi intersectional feminist, termine largamente utilizzato in tutte quelle società multiculturali, per indicare donne che sono costrette a combattere soprattutto contro sessismo e razzismo.
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