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L'amore ai tempi del Bernini. Creazioni immortali e immutabili

8/5/2020

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‎Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, dettaglio (‎1622-1625), ‎Galleria Borghese‎, Roma
Punto di riferimento iconografico per centinaia di artisti nel corso dei secoli, il poema epico mitologico di Ovidio - scritto tra il 2 e 8 sec dopo Cristo - raccoglie al suo interno più di 250 miti e leggende. Tra i racconti più celebri vi sono le storie di Dafne e Proserpina (nel 1 e 5 libro), alle quali il Bernini rende omaggio con due splendide e maestose opere scultoree, conservate oggi presso la Galleria Borghese di Roma. Certa del fatto che questi racconti facciano parte del bagaglio culturale della stragrande maggioranza delle persone, ne riporterò sinteticamente in questa sede i tratti salienti.
Dafne, ninfa dei Monti, Sacerdotessa della Madre Terra, figlia del Fiume Pereo di Tessaglia ebbe l’immensa sfiga di essere l’oggetto dei desideri di Apollo per uno scherzo del destino, anzi, di Cupido. Si perché Apollo, in uno dei suoi innumerevoli momenti di vanità personale, ebbe la brillante idea di criticare Cupido per l’utilizzo banale delle sue armi, l’arco e le frecce. Cupido è il Dio dell’amore e con le sue frecce poteva fare innamorare così come poteva far fuggire dall’amore invece Apollo con le sue frecce poteva uccidere e si vantava delle sue prodezze. Sta di fatto che Cupido decise di punire il Dio colpendolo con una freccia e facendolo innamorare di Dafne, la quale era stata invece colpita da una freccia di piombo che l’avrebbe fatta rifuggire dall’amore; intendiamoci, non che ce ne fosse realmente bisogno, in quanto Dafne aveva scelto decisamente un’altra strada, difatti ella era dedita alla caccia come seguace di Diana. Inizia qui una sorta di tira e molla, un rincorrere volto ad un finale drastico e disastroso. Apollo era un gran latin lover anche senza l’influsso della freccia di Cupido, un tantinello capriccioso, ornato da quella presunzione derivante dal diritto divino acquisito dalla nascita, perciò non facciamo fatica ad immaginarlo nelle vesti alle quali Cupido l’aveva condannato. Dafne, dal canto suo, non era intenzionata a cedere alle lusinghe insistenti del Dio ed invocò l’aiuto del padre, al quale chiese di dissolvere la sua forma umana; al tocco di Apollo Dafne si sarebbe trasformata in un albero di alloro suscitando la tristezza e la disperazione del Dio che decise, inerme davanti alla mutazione che non poteva bloccare, di rendere l’alloro una pianta sempreverde a lui sacra con la quale avrebbe ornato la sua chioma, la cetra e la faretra, esattamente come avrebbero dovuto fare tutti i vincitori.
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‎Gian Lorenzo Bernini, Ratto di Proserpina, dettaglio (1621-1622)
A differenza di Dafne, Proserpina fu rapita da Ade, Dio degli inferi e fratello di Zeus, mentre raccoglieva, serena e rilassata, dei fiori con le amiche sulle sponde del lago di Pergusa in sicilia; si sa però che un figlio non può sparire dalla circolazione senza destare la preoccupazione e la conseguente ricerca affannata di una madre: Cerere cercò a lungo sua figlia e si rivolse a Zeus nella speranza di dissolvere le nubi intorno alla scomparsa della loro figlia. Scoperto il coinvolgimento di Zeus nel rapimento ma soprattutto il suo menefreghismo in proposito, Cerere decise di passare all’azione: iniziò a decimare gli umani attraverso carestie e siccità, obbligando così Zeus ad interessarsi della situazione. Il padre degli Dei si vide così costretto a dividere l’anno in tre parti uguali così che Proserpina sarebbe stata sia con la madre sulla terra, per due parti dell’anno, che con il marito (perché nel frattempo Ade, cedendo ad un impulso romantico, l’aveva anche sposata) negli inferi, per la restante parte dell’anno.
Il Bernini realizza due statue, una per ogni mito, ma perché sceglie proprio questi due miti da raccontare? In entrambi i miti, i protagonisti maschili, Apollo e Ade, vengono presentati come uomini passionali, in bilico su quel filo sottile che separa la passione dall’ossessione. 
 Si racconta che il Bernini amò appassionatamente una donna di nome Costanza, ma un giorno la trovò tra le braccia di suo fratello e spinto da quel fuoco che brucia dentro, quel vortice di emozioni quali gelosia, rabbia, disperazione e probabilmente anche tristezza per il tradimento consumato all’interno del nucleo familiare, ruppe un numero non precisato di coste al fratello. L’evidenza ci porta a considerare che il Bernini era bramoso d’amore, o magari semplicemente bramoso per quella donna, esattamente come Apollo e Ade.
La forza dei sentimenti si sprigiona nelle sue opere. Soffermiamoci ad osservare il Ratto di Proserpina: avete mai notato la mano di Ade, quella che afferra la coscia di Proserpina? La veemenza con la quale la afferra? Ricordiamoci che stiamo osservando il marmo, il marmo che prende vita sotto le sapienti mani dell’artista; la carne del corpo di Proserpina cede sotto la pressione della mano di Ade. Il marmo parla, esprima possesso. bramosia, volontà, paradossalmente l’amore nella sua forma più forte. 
Emozioni contrastanti si leggono ad occhio nudo, immediatamente percepibili: in opposizione al possesso di Ade il rifiuto di Proserpina che cerca di sfuggire all’abbraccio forzato, alla morsa di Ade; la flessione innaturale del corpo, la posizione della testa, la mano sul viso di Ade per allontanarlo, tutto nel corpo di Proserpina esprime chiaramente il suo rifiuto, la voglia di sfuggire che si scontra con la violenza della forza bruta.
L’Apollo e Dafne non esprime la stessa ferrea volontà, non si ha l’impatto forte della violenza ma possiamo constatare un comune denominatore tra le due statue ed è rappresentato proprio dai personaggi femminili: Dafne è lo specchio di Proserpina.
Entrambe le donne reagiscono con decisione, perpetuando la loro idea di rifiuto, un rifiuto che non viene minimamente preso in considerazione: cercano di divincolarsi ma non riusciranno a preservare la loro libertà. Cattura lo sguardo dello spettatore la ferma volontà delle donne, nei loro visi si legge la disperazione, la repulsione. Ade riuscirà a conquistare il suo trofeo mentre Apollo resterà con un pugno di mosche in quanto, nel momento stesso in cui egli riuscirà a toccare la sua dolce e amata Dafne ella comincerà a tramutarsi in una pianta di alloro, unico modo a disposizione per sfuggire alla grinfie del Dio vizioso, sacrificando così la sua libertà.
Il Bernini certamente è stato un abile scultore ma azzarderei anche un uomo passionale, difficilmente si riesce ad esprime fuori ciò che non si ha dentro; i suoi capolavori brillano di una luce indescrivibile, hanno vita, coinvolgono lo spettatore e riescono a farlo viaggiare indietro nel tempo, come parte integrante di quel momento. Questa non è soltanto l’abilità del maestro, la visione dell’artista o la conoscenza dello studioso, questa è indubbiamente la grandezza dell’uomo.
- Ludovica Amicucci
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