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L'ecomuseo nella periferia di Roma. Dall’archeologia 2.0 alla street art indentitaria

2/3/2021

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L’ecomuseo, che cos’è? Spesso risulta difficile definire il concetto di ecomuseo, ciò perché esiste in diversi territori e in varie forme. In generale, i primi a parlare di ecomuseo furono Hugues de Varine che lo risaltava come apportatore di sviluppo locale, ma anche come promotore della partecipazione comunitaria; egli fu allievo di Georges Henri Rivière che parlava esplicitamente di “partecipazione della gente”: "L’ecomuseo è un’istituzione culturale che assicura in modo permanente, su un dato territorio, le funzioni di ricerca, presentazione, valorizzazione di un insieme di beni naturali e culturali, rappresentativi di un ambiente e dei modi di vita che vi succedono, con la partecipazione della popolazione stessa"[1].
In Italia gli ecomusei si diffondono a partire dagli anni ‘90 per iniziativa della Regione Piemonte che istituisce nel 1995 la prima legge regionale italiana sugli ecomusei.
Un progetto ecomuseale della nostra penisola, che ha dato buoni frutti, e che è ancora in stato di elaborazione, è l’Ecomuseo Casilino Ad duas Lauros, nella periferia est di Roma. L’area reca ancora le tracce dell’Agro romano e dunque la presenza di beni archeologici che vanno dalla Chiesa dei SS. Marcellino e Pietro, con rispettive Catacombe, al celebre e citato Mausoleo di Sant’Elena, madre di Costantino, la cui copertura prevedeva l’uso di pignatte, che si dice diedero la denominazione al quartiere. Inoltre il nome “Ad duas Lauros” si deve a una declinazione locale con la quale si identificava il Mausoleo di Sant’Elena, che ha avuto un ruolo fondamentale anche nella diffusione politica del cristianesimo. Questa etimologia pone in relazione il quartiere con una dimensione sacrale, dove per sacro, che si differenzia dal pagano, è inteso una spazio caratterizzato da un’attività religiosa, un rituale praticato dal singolo o dalla collettività.
Queste risorse sono simbolo del quartiere e per questo devono anche essere motivo di valorizzazione, oltre che di tutela. Dunque un paesaggio ampiamente antropizzato e di densa stratificazione storica.
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Il Mausoleo di Sant'Elena visto da Villa de Sanctis, http://www.ecomuseocasilino.it/percorsi/item/mausoleo-di-santelena/ Il Mausoleo, detto anticamente Torre Pignattara, sorge al III km della via Casilina e fu voluto dall’Imperatore Costantino per accogliere le sue spoglie e quelle, appunto, della madre Flavia Giulia Elena (248-329). Il Mausoleo di Sant’Elena è un monumento di grande valore storico e archeologico ed è il simbolo del quartiere di Tor Pignattara a cui, di fatto, dà il nome.
L’Ecomuseo è un esperimento portato in atto nel 2009, a seguito della cancellazione di un vincolo paesaggistico del 1994, da parte del TAR Lazio del 2006, che accolse la richiesta di cementificazione dell’area avanzata da cittadini proprietari del Comprensorio Casilino. I cittadini, presa coscienza della drammaticità della situazione che avrebbe portato a un aggravarsi di problemi legati alla congestione urbanistica e alla qualità dell’aria, cominciano a pensare a una possibile soluzione. Abbracciarono la proposta di Alessandra Broccolini, professoressa in discipline etnoantropologiche, all’Università La Sapienza, Roma, che avanzò l’idea di un modello alternativo e riqualificativo: l’Ecomuseo. Il progetto, si proponeva come strumento di sviluppo locale nella tutela dell’area, non solo dal punto di vista archeologico e ambientale, ma anche sul fronte antropologico, prevedendo la partecipazione delle comunità residenti.
L’area del Comprensorio Casilino Ad duas Lauros, comprende 143 ettari nel territorio del Municipio 5 del comune di Roma, era un quartiere atto a illeceità legate alla criminalità malavitosa che ha dato ispirazione anche al mondo cinematografico (Accattone, Pier Paolo Pasolini). Un luogo di abbandono e degrado e disconosciuto dagli studi di esperti, nonostante la vastità del patrimonio presente. L’abusivismo edilizio non avrebbe fatto altro che alimentare e inglobare entro mura cementificate queste forme di violenza.

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Scena fuori dal bar Necci a Torpignattara, di Accattone, Pier Paolo Pasolini, 1961.
L’Ecomuseo si propone di “ripensare i margini[2]” intessendo relazioni tra il vecchio e il nuovo, tra la conservazione e la sperimentazione, in una valorizzazione del rapporto tra storia e cultura tramite politiche di gestione degli spazi aperti e dunque una maggiore qualità urbana. Nasce come progetto plurale, strutturato verticalmente ma che si espande poi orizzontalmente, coinvolgendo tutti i cittadini residenti nel quartiere di Torpignattara, rendendoli “residenti attivi” in un approccio inclusivo, solidale e che mobilita reti sociali e culturali. La partecipazione della comunità e la tutela ambientale sono alla base dell’idea alternativa di sviluppo locale che si basa fondamentalmente su tre azioni: recupero e valorizzazione dell’esistente, mappatura del contesto culturale e locale, campagna di ascolto. Il modello messo in atto nella comunità è quello di framework, una progettazione partecipata che mira a valorizzare non solo il patrimonio materiale (archeologico, paesaggistico, storico, antropologico), ma anche immateriale (memorie, tradizioni, relazioni, narrazioni, culture, confessioni); in questo senso fu avviata una campagna di ascolto in tutto il territorio nella ricerca di una connessione sentimentale e immaginaria, ma anche un’interazione con quanto di esistente.
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La BAM, biblioteca abusiva metropolitana, Torpignattara, Roma, 2013, http://www.ecomuseocasilino.it/percorsi/item/la-bam-biblioteca-abusiva-metropolitana/ Spazio collettivo al servizio della comunità, nasce dall’occupazione di una palazzina nel febbraio 2013. E’ un luogo resistente in cui si costruiscono alleanze e coscienze.
Questa co-partecipazione portò alla creazione di laboratori sperimentali all’interno dalle scuole con il progetto Ecomuseo dei ragazzi, che mostrava la consapevolezza della ricchezza del loro territorio evidenziando un sentimentalismo vivo e attivo. 
Laboratori partecipativi, come modelli relazionali, hanno creato un momento di incontro con la comunità e la messa in discussione di risorse contemporanee, in una sensibilizzazione verso la riappropriazione degli spazi pubblici, fino al risultato più maturo del Cantiere Impero, volto a una ri-progettazione condivisa dell’ex Cinema Impero, che raggiunse lo scopo di riapertura con un’accademia di arti performative; si trattava del terzo cinema più grande di Roma, emotivamente importante per i vecchi cittadini di Torpignattara in quanto evocatore di ricordi. Infatti, nella realizzazione, si è dovuto considerare un doppio livello di lettura: da un lato storico, dall’altro vicende locali vissute e che fanno parte di una memoria collettiva, viva e ancora tangibile e che restituisce la consapevolezza storica, ma anche una valorizzazione del patrimonio culturale che va a colmare lo iato tra vecchie e nuove generazioni 

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4. Facciata del Cinema Impero, Torpignattara, Roma, http://www.ecomuseocasilino.it/percorsi/item/cinema-impero/ Il Cinema Impero fu edificato nel 1934, in pieno regime fascista, dall’architetto Mario Messina, racchiude nel nome le speranze coloniali italiane del ventennio.
I laboratori sono stati realizzati sia in “aula” sia in “strada” al fine di fare emergere le criticità e svelare una nuova fruibilità del territorio, del cui potenziale i residenti ormai non se ne rendono più conto. Mettere in luce dunque il patrimonio storico-artistico per spingere gli stessi abitanti a una co-tutela. L’utilizzo poi delle nuove tecnologie anche in campo archeologico, come mappature tridimensionali vicinissime al reale e di realtà aumentata possibile grazie all’uso di droni, mette in campo di fatto quella che si potrebbe definire Archeologia 2.0, offrendo innovative opportunità di salvaguardia e fruizione, e stimolano i sensi in un modo alternativo, nuovo. In questo modo viene aumentata la conoscenza del proprio territorio, delle antiche società, degli usi e costumi. Rimando a YouTube dal Sito ecomuseocasilino.it: https://www.youtube.com/watch?v=H4Q37a1ksDw&feature=emb_logo
Nel video si evidenzia la multidisciplinarietà del contesto ecomuseale e della ricerca proposta, ben si adatta alla disciplina archeologica che su tale proprietà si fonda. L'intreccio e l'incrocio dei percorsi e delle letture consentirà in maniera del tutto naturale di illustrare le stratificazioni cronologica e culturale delle risorse, riuscendo così a comunicare concetti fondanti la moderna archeologia ma sempre relegati a tabù, in quanto estremamente complessi da comunicare.

In seno alla valorizzazione del quartiere, contro il vandalismo e l’imbrattamento, è nata un’azione spontanea legata al sentimento del ‘bello’ nel paesaggio, cioè la decorazione delle serrande dei negozi. L’effetto collaterale di questa iniziativa, fu una decorazione urbana diffusa nel segno di un un’arte pubblica collettiva di strada che si manifesta esplicitamente nella Street Art. Il cambio rotta dalle tag degli anni ‘90 a forme d’arte muraria dove la location è parte fondamentale, fu l’evento ArtConventional, l’arte e in strada, un intervento sul muro di cinta della ferrovia in Via Galeazzo Alessi. Si innescava un meccanismo di valorizzazione territoriale.
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Nicola Verlato, Hostia, 2015, https://plazademayo.wordpress.com/2017/05/19/pasolini-il-murale-di-nicola-verlato-a-tor-pignattara/ È già stato soprannominato la “Cappella Sistina di Tor Pignattara” il tributo a Pier Paolo Pasolini nato dall’arte di Nicola Verlato. “Hostia” è un murales sorto a Roma, a Tor Pignattara, sulla facciata di una palazzina in via Galeazzo Alessi 215 nell’aprile del 2015.
Il processo maturò con il progetto M.U.Ro che mirava a costruire un museo a cielo aperto raccontando le storie, le memorie popolari e anche la ricchezza culturale patrimoniale. Un primo murales di comunità a Torpignattara mirava a raccontare il territorio attraverso personaggi locali più popolari, come memoria collettiva e per le nuove generazioni. 
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Mr. Thoms, The Greedy Man, Torpignattara, Roma, 2012, http://www.ecomuseocasilino.it/percorsi/item/mr-thoms-il-risucchiattore-2012/ Durante il sopralluogo per decidere quale parete dipingere per MURo, lo street artist Mr. Thoms si è immediatamente innamorato della superficie in mattoncini che costituisce l’uscita del tunnel del Quadraro, in via Decio Mure.
Nel 2012 la galleria Wunderkammern propone l’ambizioso progetto del murales ESCIF, da cui poi si struttura un modello peculiare della zona.
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Escif, L’orecchio destro, Torpignattara, Roma, 2011, http://www.ecomuseocasilino.it/percorsi/item/escif-lorecchio-destro/ Sito su una parete cieca di via Gabrio Serbelloni 127, L’Orecchio Destro di Escif, è la prima opera d’arte muraria prodotta dalla galleria Wunderkammern e, per certi versi, rappresenta un vero e proprio manifesto dell’approccio all’urban art da parte della galleria
 La Street Art comincia a diffondersi spontaneamente: gli artisti come Jeff Aerosol, Diavù, Franco Ottavianelli, e altri cominciano a decorare la città sollecitati dai cittadini che addirittura finanziano queste opere d’arte. L’arte pubblica diventa così espressione di una comunità: vengono realizzati murales che mostrano la dimensione multietnica, aperta al prossimo e all’inclusione della differenza presente nel quartiere. Un vero e proprio biglietto da visita della comunità che vi abita, un simbolo identitario. In questo senso nasce una percezione nuova della Street Art che talvolta si fa monumento riconoscitivo del quartiere stesso.
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Herakut, Santa Miseria, Torpignattara, Roma, 2015, http://www.ecomuseocasilino.it/percorsi/item/herakut-santa-miseria/ Il murale è, evidentemente, una riflessione sull’importanza del saper sostenere la fragilità, di colmare il bisogno, di accogliere la diversità, soprattutto da parte di chi si trova in una posizione di “forza”, o privilegio, o sicurezza.
Si è passati poi a percorsi di dialogo tra culture diverse. Infatti negli anni ‘90 si assistette all’incremento di comunità migranti, soprattutto provenienti dal Bangladesh, tanto che in anni recenti l’area è stata rinominata dagli stessi Banglatown. Già dal primo decennio del 900, il territorio aveva visto un cambiamento morfologico per i flussi di migranti italiani che soprattutto dal Mezzogiorno si spostavano in città. Questi flussi hanno fatto sì che la città si espandesse anche nelle periferie senza badare alla tutela delle preesistenze archeologiche che in parte vennero distrutte o inglobate nel tessuto edilizio, con forti problemi di abusivismo edilizio dopo il fascismo. L’idea dell’Ecomuseo Casilino si muove nell’ottica della valorizzazione e tutela del patrimonio storico-naturalistico, ma anche dei caratteri antropici della campagna romana in un’integrazione tra aree urbanizzate e “abbandonate”, verso una visione unitaria del patrimonio.
Dunque un territorio aperto alla ‘superdiversità’, dove esiste un panorama anche religioso vasto con diversi edifici di culto, tra cui quattro moschee. A Torpignattara i luoghi di culto, soprattutto moschee, si costituiscono spesso in spazi non idonei, cioè in supermercati, garage, e questo suscita sospetti nei cittadini italiani che si vedono minati della propria sicurezza. La messa in valore del sacro aiuta nella definizione di un’identità e di conseguenza produce una migliore coesione sociale che ha come premessa la coscienza del sacro altrui, in un processo dinamico.

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La comunità musulmana prega in piazza a Tor Pignattara, 2019, https://www.romatoday.it/zone/pigneto/torpignattara/iftar-piazza-perestrello-20-maggio-2019.html
La linea che si va a definire in questa Banglatown, è una rievocazione identitaria di una popolazione soggetta a diaspora, in territorio italiano. Si apre così un immaginario multiculturalista, una rifondazione dello spazio ibrido complesso, edificato a “macchia di leopardo”, fatta di un’edilizia semi-rurale oggi diventati villini, antichi casali  e spazi verdi dove emergono le preesistenze archeologiche. Si genera così un dialogo interculturale nel territorio dove si trovano locali e migranti che spesso sono “invisibili” o newcomers che lavorano come ambulanti e che spesso si comportano con riservatezza di fronte ai timori degli italiani, dovuti alla precarietà di questi uomini. Gli italiani presenti sono spesso i vecchi residenti, anche se una frangia di nuovi abitanti, rappresentata da single o giovani, attirata dai bassi costi degli appartamenti, sta popolando la zona. Nelle sere estive Banglatown si popola di giovani, mentre i vecchi residenti rilanciano l’autenticità della Roma che fu.
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Banglatown o via della Banglanella, http://www.ecomuseocasilino.it/percorsi/item/banglatown-o-via-della-banglanella/ La rifondazione dello spazio urbano da parte delle comunità migranti si può vedere anche nell’introduzione di nuovi toponimi. A Torpignattara questa tendenza si è espressa all’inizio degli anni 2000 con l’introduzione informale del toponimo Banglatown.
​Le iniziative ebbero grande impatto sul territorio tanto che nel 2016 venne inserito ufficialmente nella mappa internazionale dei nuovi musei. L’obiettivo si amplia verso lo sviluppo di nuove tecnologie per la valorizzazione turistica messe a punto tramite un protocollo d’intesa con l’Università Tor Vergata, Roma. È un progetto ancora in elaborazione, ma ha già dimostrato ampiamente di come l’impatto sia assolutamente positivo. La rivitalizzazione del territorio in questo sviluppo di rete ecologica, nell’arginazione della speculazione edilizia, per una promozione di un’urbanistica che prenda in considerazione le specificità dei luoghi e risorse del territorio esalta la qualità urbana e il benessere del cittadino ed è in grado di favorire l’incontro tra comunità. Tramite lo sviluppo di una visione eco-produttiva si promuove la memoria del luogo delineando una visione di ‘città rinnovata’. La purificazione dell’aria dall’inquinamento è intesa come tutela dell’ambiente e dell’uomo per una condizione di vita migliore.
[1] V. ACQUASANA, C. BORRI (a cura di), Che cos’è l’Ecomuseo. Il museo del e nel territorio, Città e Territorio, 25 gennaio 2017, http://www.cittaeterritorio.it/wp-content/uploads/SCHEDA-ECOMUSEI.pdf
[2] A. BROCCOLINI, V. PADIGLIONE (a cura di), Ripensare i margini. L’ecomuseo Casilino per la periferia di Roma, Roma, Aracne Editrice, 2017.

​- Chiara Rauli
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