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«Mecenati e pittori» di Francis Haskell: come vedere l’arte attraverso la società e viceversa

13/12/2020

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Konrad Fiedler affermava nel suo libro di Aforismi sull’arte: «Viene generalmente ammesso che esistono due concezioni del mondo, quella scientifica e quella artistica: sull’essenza della prima si è abbastanza d’accordo, ma a proposito della seconda regnano il disordine e la più assoluta confusione di idee» Come dargli torto. Spesso quando ci poniamo davanti a un’opera d’arte ci soffermiamo sul nostro gusto, lasciando spazio ai vari: «Si! Questo mi piace, no questo non mi piace!» oppure «guarda che bei colori!». Anche se il più gettonato rimane sempre «guarda, sembra vero!». Ma per riuscire ad avvicinarsi alla sensibilità dell’artista tramite l’opera occorre un giudizio di conoscenza, non di gusto (Critica del Giudizio, I. Kant). Questo giudizio di conoscenza si forma sull’unione fra teoria e prassi, fra studio delle fonti (ecco sempre vivo lo slogan «Confrontare l’opere con le scritture» di Raffaello rivolto a Papa Leone X nella celebre lettera del 1519) e percezione visiva. E allora mi piace pensare che, metaforicamente, per vedere un’opera d’arte siano necessari degli occhiali. Si, degli occhiali, ma non da vista, ‘da conoscenza’. Senza di questi risulterebbe impossibile vedere gli elementi artistici dell’opera e ci si soffermerebbe solamente sulla superficialità estetica o su chissà quale pensiero maturato nella nostra testa in quei otto secondi di contemplazione (uno studio ha affermato che in media oggi ci si sofferma massimo 8 secondi davanti a un’opera). 
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Una recente indagine condotta dalla Tate Britain ha mostrato come lo spettatore medio impiegasse in media 8 secondi alla contemplazione di un’opera d’arte nel loro museo, Canva©
Non esiste un unico paio di occhiali ‘da conoscenza’, ma ne esistono diversi, così come possono essere diversi gli approcci della critica d’arte. Giusto per citare solamente le due posizioni critiche più gettonate si deve far riferimento all’approccio iconografico, basato sulla lettura dell’immagine a partire dal tema rappresentato e l’approccio formalebasato sull’analisi dello stile dell’artista ponendo attenzione alla tecnica artistica. Oggi però voglio indicarvi un altro modo di vedere l’arte, estremamente significativo quanto gli altri due suddetti, l’approccio sociale. Partendo dall’idea del grande storico dell’arte Max Dvorák, appartenente alla Scuola Viennese, del nesso tra l’arte e i fatti extra-artistici, Arnold Hauser indaga i rapporti fra arte e realtà sociale con il libro Storia sociale dell’arte (1953), mettendo in evidenza come, nel corso dello sviluppo artistico, dalla preistoria all’epoca moderna, vi sia stata una contemporaneità tra l’apparire di un’arte naturalistica e l’ascesa di nuovi ceti sociali, in particolare borghesi. Su questo approccio nel 1963 esce la ‘Bibbia’ dell’arte italiana di ‘600 e ‘700 che è Patrons and Painters. A Study in the Relations Between Italian Art and Society in the Age of the Baroque del grande storico dell’arte inglese Francis Haskell (in italiano, Mecenati e pittori. L’arte e la società italiana nell’epoca barocca). 
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«Mecenati e Pittori», Ed. Italiana, a cura di Tomaso Montanari” , PBE©
La novità d’approccio alla disciplina della storia dell’arte apportata da Haskell consiste nel relazionare la creazione artistica con la società e quindi nel verificare come e quanto la committenza sia stata in grado di influenzare ed indirizzare l’attività degli artisti. L’innovazione nel vedere le opere sta nel fatto che i fatti artistici non sono più indipendenti dalle strutture sociali a loro contemporanee ma ne sono anzi fortemente dipendenti. Il grande Roberto Longhi in Proposte per una critica d’arte (1950) preannunciava già l’esigenza di «non involgere solo il nesso tra opera e opere, ma tra opera e mondo, socialità, economia, religione, politica e quant'altro occorra». Più nel dettaglio il libro di Haskell si compone di 3 sezioni. La prima intitolata Roma è relativa ad artisti e mecenati nella Roma del ‘600 con particolare attenzione alla famiglia Barberini (Papa Urbano VIII) ed agli Ordini Religiosi. La seconda, Dispersione, analizza collezionismo e mercato dell’arte italiana nei centri minori e all’estero, mentre la terza intitolata Venezia sviluppa il tema del mecenatismo nella Serenissima. Secondo la tesi di Haskell (scomparso a Oxford il 18 gennaio 2000, il quale affidò l’ultima revisione e la cura delle bozze al noto Tomaso Montanari), le maggiori espressioni artistiche barocche di Roma e Venezia sarebbero state il risultato e la conseguenza di un mecenatismo unico e forse irripetibile volto a mascherare con la magnificenza artistica la decadenza politica in cui versava l’Italia in quegli anni. 
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Francis Haskell (1928-2000) nel 1964, OxfordInstitute©
Ma la forte vitalità di un libro che diventa manuale sta nella sua attualizzazione ai giorni nostri. Si potrebbe infatti dire che il libro di Haskell non tratta solo del’ 600 e del ‘700, ma dà al lettore una metodologia di visione (un modello di occhiali ‘da conoscenza’) tracciando un’indagine di fondo sul ruolo che ha la società nella produzione e promozione dell’arte contemporanea. Così nel Barocco come nel Rococò e così via fino ai giorni nostri. Parafrasando il celebre artista francese Daniel Buren: «Qualsiasi lavoro o opera d’arte ha una connotazione sociale, ha un significato politico». Con l’ascesi della borghesia e il graduale crollo del regime aristocratico europeo in seguito alla Rivoluzione francese (1789), l’arte contemporanea italiana cessa di essere punto di riferimento dell’arte occidentale. Nell’800 non c’è più spazio per il committente che lascia il posto al mercato e al collezionista. Dopo Parigi, la capitale dell’arte diventa, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale, New York, con la consacrazione del gusto transatlantico negli anni 60’ grazie alla vittoria della Biennale di Venezia del ’64 di Robert Rauschenberg. E oggi? Figli degli occhiali di Francis Haskell la domanda che deve sorgere spontanea, non può che essere: nell’era digitale, ancora occorre una capitale fisica dell’arte? E in che rapporto è l’arte con la società del 'like'? 


Nicola Bigliardi
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