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Nella caverna di Mirko Leuzzi

9/3/2021

2 Commenti

 
Dense pennellate di giallo limone si ammassano incuranti di stratificarsi una sopra l’altra. Esse non solo creano lo sfondo, ma lo rendono invalicabile, insuperabile. Cosa si nasconde dietro? 
Il colore è coprente e si modella lungo i bordi del soggetto posto in centro; le sbavature che oltrepassano il confine, marrone, seppure diverso in ogni punto, rivelano una prova incriminante: il volto che domina la scena è stato dipinto su uno sfondo bianco, a cui è stata donata lucentezza solo in un secondo momento. I confini sono imprecisi, il giallo li travalica in più punti e sembra voler coprire l’intero dipinto, far scomparire la figura umana. Riuscirà a risucchiarla o la sua forza vitale gli impedirà di farla evaporare? Non sembra importare questo all’artista.
Appare evidente come la sua attenzione sia focalizzata unicamente sull'uomo, trascurando il contesto che lo circonda e rispondendo alla domanda “Cosa si nasconde dietro?” con un semplice “Non importa”. L’attenzione di chi osserva viene rapita dai suoi occhi, in particolare dalle occhiaie rosa perlate che suggeriscono una notte passata insonne. Le pupille sono fisse e centrate, i bulbi oculari leggermente in fuori, e lo sguardo sembra distante, smarrito e incantato a osservare quello che si trova davanti e che ci è dato solo immaginare. Sarà forse il futuro?
La bocca carnosa sembra inoltre serrare timore e inquietudine, sigillando parole che chi guarda l’opera riesce a percepire, perchè proprie dell’intero genere umano. 
Altri dettagli caratterizzano il soggetto conferendogli i tipici connotati mediterranei, come la barba scura con il pizzetto pronunciato o il naso storto ad uncino, ma a suggerire qualcosa della sua personalità sono gli orecchini d’oro su ambedue i lobi che ora ci permettono di chiamarlo per nome: Mohamed.
Foto
Mirko Leuzzi, Mohamed, cm 30x30, olio sui tela
L’ekphrasis è una figura retorica antica che sembra svilupparsi contemporaneamente alla nascita della letteratura, e forse ancor prima nella tradizione orale. È imprescindibilmente legata ad attività artistiche visive caratterizzate dalla matericità, poiché la sua funzione è quella di rivelare quei particolari sorvolati da un occhio poco attento o non sufficientemente allenato.  Con il ‘900 le opere d’arte sono diventate sempre più concettuali, spogliandosi della matericità e rilegando la pittura, protagonista indiscussa per secoli, a un minor interesse e impiego; conseguentemente l’ekphrasis è stata adoperata sempre meno.  
Nell’era dell’“immaterialità” molti mestieri antichi fanno fatica a sopravvivere, spesso sostituiti da apparecchiature industriali, e l’artigianalità sembra non trovare molto spazio in questo nuovo mondo. La connessione antica tra maestranze, che un tempo rendeva impossibile distinguere il lavoro di un artigiano da quello dell’artista, sembra essersi spezzata, rendendo quasi incomunicabili queste due realtà. 
Questo è vero soprattutto per quegli artisti formatisi nelle Accademie e dunque consci dell’evoluzione storica dell’arte nei secoli; ma cosa accade se l’artista è neofita della materia e il suo atto artistico è dettato unicamente dall’istinto?

Mirko Leuzzi, classe 1992, sembra uno dei personaggi descritti nei libri di Shintarō Ishihara degli anni ‘60: dandy e licenzioso, vizioso e disincantato.
Come spesso accade per chi sviluppa un’eccessiva sensibilità, Mirko ha sempre cercato diversi sotterfugi per non doversi confrontare con essa. Iniziata la quarantena lo scontro con la propria interiorità è stato inevitabile e, come è normale che accada, doloroso; questo ha reso necessaria una “terapia” per comunicare con l’esterno ciò che stava provando, trovando conforto nell’arte. 
Si è così avvicinato alla pittura per esigenza, in maniera innata e senza farsi domande ma cercando di dare materialità ai suoi pensieri nell’intento di trovare risposte.
Dopo mesi di lavoro ininterrotto e continue sperimentazioni, l'incontro con la curatrice Paola Aloisio si è dimostrato significativo. Paola infatti racconta di come in lui abbia visto un talento naturale nel comunicare e che l’abbia colpita soprattutto «la forza espressiva dei suoi dipinti, il fatto che comunichino qualcosa, anche del disagio, della tristezza, o della solitudine: sentimenti complessi difficili da trasportare poi su tela».
Foto
Mirko Leuzzi, Chiara I (trittico), cm 30x30, olio su tela
La loro collaborazione ha portato infine alla consacrazione di Mirko Leuzzi in quanto artista, attraverso la creazione di un primo progetto espositivo inaugurato nella giornata di domenica 28 febbraio 2021, che l’ha introdotto al pubblico attraverso 10 dei suoi lavori più intimi e significativi, legati al primissimo periodo di produzione. Si tratta di sei ritratti e di quattro nudi, che ci permettono di individuare come soggetto prediletto dall'artista il corpo femminile, messo a nudo non solo dalla mancanza di indumenti ma anche dall’assenza di ostacoli per arrivare ai suoi pensieri, pur restando in parte avvolto nel mistero come una femme fatale.
"In Caverna" è il nome scelto per questa sua prima mostra, che rappresenta una metafora della nascita del suo fare artistico: egli è agli albori, come un uomo primitivo che per la prima volta scopre come far fuoriuscire le proprie emozioni realizzando delle pitture rupestri sulle pareti della roccia: “un uomo che non è stato forgiato dagli studi accademici e per cui la caverna rappresenta uno stato della mente”.
Il progetto presenta un dettaglio importante e molto significativo, in quanto è caratterizzato da una durata di appena 5 ore che lo rende una vera e propria performance, rifacendosi direttamente ai pop up store: negozi temporanei della durata di un giorno, che spariscono improvvisamente così come sono apparsi.
La precarietà di questa esibizione lampo si ricollega a quanto detto in precedenza, ossia alla graduale scomparsa della realtà artigianale, e la scelta di allestirla proprio in un’officina che lavora il ferro (Officine Privitera a San Lorenzo, Roma) permette all’artista di riappropriarsi dello spazio mettendo in dialogo l'artigianalità con la propria arte. Un vero e proprio atto di ribellione contro la scelta abituale di approcciarsi ad uno sterile white cube, in cui Mirko non trova la stessa densità di significati che connota gli spazi del fare quotidiano.
Le opere sono state posizionate adattandosi agli strumenti presenti nel luogo di lavoro, scegliendo una linea curatoriale non invasiva che mettesse in dialogo i quadri con gli attrezzi, ricreando l’unione naturale che un tempo era inscindibile tra i due.
Foto
Mirko Leuzzi, Chiara II (trittico), cm 30x30, olio sui tela
Le opere di Mirko sono un viaggio nei sentimenti che animano ciascun individuo, e per questo sono in grado di creare immediate connessioni con chi le osserva. 
I ritratti da lui realizzati ricordano quelli dei fauves, in particolare per l’importanza data al colore, seppur non in rottura con la realtà, che sembra voler fuoriuscire dai confini della tela.
L’ekphrasis di apertura dell’articolo, resa possibile da un ritorno alla matericità della pittura,  descrive l’unico ritratto maschile presente, Mohamed, portandoci inevitabilmente a domandarci se si tratti in realtà di un autoritratto rappresentante sé stesso. Ciò che cogliamo nei suoi occhi è però sicuramente una sensazione provata da chiunque di noi almeno una volta nella vita: quella di spaesamento, di angoscia, che ci porta ad immedesimarci con lui e a provare ciascuna delle emozioni ritratta nei volti dei 10 protagonisti.
Per conoscere meglio questo artista e la sua poetica non ci resta che attendere la prima personale in primavera.
Foto
Mirko Leuzzi, Chiara, cm 60x50, olio su tela
- ​Alessandra Abbate
2 Commenti
Medea
10/3/2021 21:30:33

Articolo favoloso, complimenti alla giornalista.
In bocca al lupo a Mirko Leuzzi.

Risposta
Eros
11/3/2021 08:43:20

Spettacolareee!!!

Risposta



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