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«Spero di dipingere qualcosa che sia in grado di rovinare l’appetito di ogni figlio di buona donna che mangerà in quella sala»[1]. È il 1959 e a Mark Rothko sono stati offerti trentacinquemila dollari per rivestire le pareti di un’intera ala del Four Seasons Restaurant, progettato da Philip Johnson per accogliere la ricca élite newyorkese, tra alta cucina e discussioni d’affari, all’interno dell’esclusivo Seagram Building di Park Avenue, Manhattan. 45 metri quadri di superficie su cui Rothko ha totale libertà d’espressione, uno spazio pubblico in cui dare vita a un’esposizione permanente. Una sfida da cui è difficile tirarsi indietro, soprattutto di fronte ad un compenso così accattivante. Rothko, infatti, a differenza dell’ormai defunto collega Jackson Pollock, non naviga nell’oro. Il valore delle sue opere è alto, ma le vendite faticano a decollare, complice l’eccessivo attaccamento dell’artista alle sue tele: sono figli da proteggere, sono vulnerabili, hanno bisogno della giusta attenzione e di occhi sensibili, esporli al mondo esterno è un rischio che Rothko non vuole correre, se non sorretto dalla certezza che le condizioni in cui verranno a trovarsi possano essere ottimali. Si comporta da demiurgo: vuole controllare le persone che li acquistano, gli ambienti che li espongono, la luce che li illumina, l’altezza a cui fissarli, la distanza da cui osservarli. «Penso ai miei dipinti come ad opere teatrali»[2], scrisse nel 1947. È regista, attore e spettatore del proprio lavoro. È da questi presupposti che prende forma e colore Red, l’accattivante drammaturgia di John Logan andata in scena per la prima volta nel 2009 nella cornice della Donmar Warehouse di Londra. La regia è di Michael Grandage, all’epoca direttore dello spazio, Alfred Molina è Rothko e un ancora sconosciuto Eddie Redmayne è Ken, il giovane assistente al quale è affidato il compito di montare telai, stendere tele, pulire pennelli, portare cibo e sigarette, dare la prima mano di ground color. La scena è quella dello studio di Rothko sulla Bowery, a New York. Una vecchia palestra, «an old gymnasium», recita la didascalia introduttiva, il cui pavimento è macchiato di vernice scura. «There is a cluttered counter or tables filled with buckets of paint, tins of turpentine, tubes of glue, crates of egg, bottles of Scotch, packets of pigment, coffee cans filled with brushes, a portable burner or stovetop, and a phone. There is also a phonograph with messy stack of records. Most importantly, representations of some of Rothko’s magnificent Seagram Mural paintings are stacked and displayed around the room. Rothko had a pulley system that could raise, lower and display several of the paintings simultaneously». Gli attori e i loro personaggi si muovono sulla scena con perizia e dovizia: preparano davvero il colore, dipingono, spostano tele, vivono un’esperienza assoluta che li trascina nel vortice dell’arte nelle sue più svariate declinazioni. Discutono di filosofia, teologia, letteratura, poesia, teatro, storia, archeologia, antropologia, mitologia, musica nella cornice di un confronto/scontro generazionale tra padre e figli, maestri e discepoli, passato e futuro. ROTHKO: «These are your tools as much as brush and pigment. You cannot be an artist until you are civilized. You cannot be civilized until you learn. To be civilized is to know where you belong in the continuum of your art and your world». La commissione per il Seagram diventa il pretesto ideale per comporre un ritratto di Rothko a tutto tondo, creando un tessuto drammaturgico di battute che ricalcano le parole raccolte attraverso testimonianze scritte, aneddoti, racconti. È la storia intensa e drammatica di una personalità straordinaria che lavora ferocemente, instancabilmente, e altrettanto instancabilmente osserva le sue opere, su di esse scrive, cerca giustificazioni estetiche, produce spiegazioni. Crea con la stessa passione dei maestri rinascimentali, lavora la materia con una religiosità ancestrale, dipinge come se fosse l’unico gesto possibile di catarsi per dare sfogo alla tragedia, al caos in cui l’uomo è immerso. Critica la fama di Pollock, il consumo dell’emergente Pop Art, il meccanismo che regola la compravendita delle opere d’arte. Rothko ha bisogno di silenzio, di enormi dimensioni in cui immergersi per trasformare le tele in puro spazio di contemplazione. E Ken è la chiave fondamentale per guidarci nella mente di Rothko, lo specchio della società contro cui l’artista sarà costretto a scontrarsi fino ad arrivare verso la conclusione: un ristorante non è certo il luogo adatto per ospitare la sua arte. «Chiunque mangerà quel tipo di cibo, per quel tipo di prezzi, non guarderà mai un mio quadro»[3]. Con un gesto di enorme integrità artistica, Rothko rifiuterà la commissione, restituirà l’anticipo e licenzierà Ken, lasciandolo andare al mondo con lo stesso affetto di un padre che accetta il cambiamento e permette al figlio di scegliere la propria strada. «KEN goes. ROTHKO seems a little lost. He moves to the central painting and stares at it. Pause. ROTHKO stands alone». [1] Gregorio Botta, Pollock e Rothko. Il gesto e il respiro, Einaudi, Torino, 2020. [2] Estratto da da The Romantics Were Prompted contenuto in Mark Rothko, Scritti, a cura di Alessandra Salvini, Abscondita, Milano, 2002. [3] Gregorio Botta, Pollock e Rothko. Il gesto e il respiro. Per i curiosi.
Dopo il debutto nel 2009, lo spettacolo riceve il plauso della critica e viene nominato ai Laurence Olivier Awards del 2010 come Best New Play, mentre Eddie Redmayne trionfa nella categoria Best Actor in a Supporting Role. Con il debutto oltreoceano avvenuto nella primavera del 2010 presso il John Golden Theater di Broadway, lo spettacolo viene candidato a sette Tony Awards, vincendone ben sei (Best Play, Best Featured Actor in a Play, Best Direction, Best Scenic Design, Best Lighting Design e Best Sound Design). Riceve inoltre sette candidature ai Drama Desk Awards, aggiudicandosi la vittoria nelle categorie Outstanding Director, Outstanding Lighting Design e Outstanding Play. Sempre nel 2010 trionfa nelle tre categorie per cui è nominato dalla Drama League (Distinguished Production, Outstanding New Broadway Play e Outstanding Performance per Alfred Molina). Lo spettacolo viene ripreso nel 2012 al Mark Taper Forum di Los Angeles con Jonathan Groff nei panni di Ken e successivamente, nel 2018, torna a Londra, al Wyndham’s Theatre, con Alfred Enoch nel ruolo di Ken. Rosso viene portato in scena per la prima volta in Italia nel 2012 dal Teatro Elfo Puccini. La regia è di Francesco Frongia, con Ferdinando Bruni nel ruolo di Rothko e Alejandro Bruni Ocaña in quello di Ken. Sul sito ufficiale della Michael Grandage Company è possibile immergere lo sguardo nel processo di creazione dello spettacolo: https://www.mgc.com/behind-the-scenes/red/ La versione con Alfred Enoch distribuita nei cinema è disponibile in streaming sulla piattaforma stage2view: https://stage2view.com/red È inoltre possibile ascoltare Red nella sua versione in lingua originale (con Jonathan Groff) su Spotify: https://open.spotify.com/red_audiodrama La versione in lingua italiana è invece disponibile su Radio3: http://www.rai.it/radio3_rosso La drammaturgia in lingua originale è contenuta nell’antologia John Logan – Plays One edita da Oberon Books, mentre la traduzione italiana a cura di Matteo Colombo è stata pubblicata da Cue Press. Serena Previderè
1 Commento
Giulia A
20/12/2020 15:47:59
Un articolo affascinante e ben scritto, in cui le arti dialogano tra loro generando spunti di riflessione nuovi e fecondi!
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