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Sarah Shakeel e la scintilla universale. La cura adamantina

20/6/2020

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Sara Shakeel, Made in Tomorrow © credits Sara Shakeel
È quando la notte sembra più buia che la luce brilla con più intensità, e si accedono piccole luminescenze improvvise che attraversano l’oscurità delle fresche sere estive nell’elettricità di giardini segreti. Le lucciole appaiono, come incantesimi sussurrati all’orecchio, allo stesso modo di quelle vibranti luci che da laggiù salutano i passeggeri proiettati nell’etere. La magia della luce diviene una potente cura contro l’oscurità che ottenebra i sensi della vita: è questo ciò che dimostra Sara Shakeel, artista americana di origine pakistana che attraverso i cristalli irradia non solo luminosità, ma tutto quello stratificato bagaglio simbolico a essa connesso di bene, verità, purezza e speranza. Abbaglianti, attirano l’attenzione facendo scomparire tutto ciò che le circonda, gettando nell’oblio le paure, le preoccupazioni, i problemi e tutte le sfumature del dolore. Il diamante diviene segno attivo e imperante agendo un atto altamente estetizzante sui difetti del corpo, sulle facciate dei monumenti, sul cibo, sulle icone pop contemporanee, così come sugli stessi capolavori della storia dell’arte rivitalizzandoli e rafforzandone la fascinazione.
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Sara Shakeel, Ritratto di Lady Gaga © credits Sara Shakeel
La ribalta dell’elemento estetico qualifica il soggetto, connotandolo di natura sovraumana, mentre la sua accentuazione ne amplifica doppiamente l’effetto salvifico. La purezza e l’estrema bellezza del cristallo si rifrange sul soggetto, ma anche sull’osservatore e sul suo modo di guardare e interpretare la realtà. Dall’atto qualificativo scaturisce l’azione demiurgica che attiva un processo di redenzione e purificazione; le catene vengono spezzate e la libertà dell’immaginazione irrompe su uno spazio mentale finalmente libero e pronto a sognare. L’operazione estetica di Shakeel risulta ancora più stratificata e trasbordante di significato in questo particolare momento di emergenza e di incertezze, quando il suo sguardo si posa sugli oggetti della quotidianità casalinga e sulle figure eroiche di medici e infermieri che esausti continuano a salvare vite. Tali inquadrature mettono in evidenza l’urgenza di miticizzare l’evento traumatico nel tentativo di renderlo più sopportabile alla visione e  alla percezione. Shakeel crea simboli e icone capaci di comunicare e interagire con la collettività; traspaiono dai bagliori le speranze, i sogni e i desideri di un’umanità raccolta in un abbraccio che svela la realtà dell’universalità della volontà umana. Lampante è il disperato bisogno di affidarsi alla bellezza in grado di valorizzare l’ordinario convertendolo in un’esperienza straordinaria, e la stessa alterazione fiorisce anche nel singolo, che assorbendo la bellezza tradotta in luce e scintillio acquisisce un carattere di eccezionalità. Un altro focus fondamentale è l’attrazione per l’eterno.
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Indimenticabile è la canzone “Diamonds are a girl’s best friends” cantata dalla nota attrice americana Marilyn Monroe nel film Gli uomini preferiscono le bionde del 1953. Simbolo di eternità, il diamante è lontano dalle dinamiche di consunzione umane, non deperisce né invecchia, e riattualizzandosi subentra nell’immaginario come nuova icona della contemporaneità descrivendone utopie e forme. All’eternità e durezza del materiale si contrappone l’effimerità del bagliore emesso che sintetizza in un frammento di piacere assoluto l’apoteosi del capitalismo. Come nel sogno si annida l’incubo così anche le luci raggianti possono generare una macchia d’ombra che oscura l’imperativo dell’immaginazione. La patina argentea del luccichio attrae a sé l’occhio che ipnotizzato, dimenticandosi del resto, richiede compulsivamente nuova bellezza da godere. La fruizione su Instagram alimenta e accresce tale dinamica offrendo alla visione l’eternità come elemento voyeuristico di consumo; mentre la cristallizzazione concretizzandosi in forme reali inverte il meccanismo e cancella la presenza del costrutto capitalista lasciando intravedere una fragilità dialettica e l’imperfezione del reale che si esplica nella tavola imbandita di The Great Supper esposta alla NOW gallery di Londra la scorso giugno. Tableaux vivant di pura meraviglia si scontra con la dimensione tridimensionale della realtà oggettiva e dal cortocircuito fuoriesce l’ossimoro vivifico che ripristina il valore della presenza all’interno di un tempo incerto che immobile si muove ripetendosi. Il ricordo scorre tra le righe dell’intimità consumandosi nel rituale del pasto che giornalmente si ripete in loop; eppure il luogo non perde il suo attributo storico ma anzi lo riconferma con decisione mentre consolida la sua identità aggregativa e di raccordo di multiple entità che nella tavola non si mescolano, ma si ritrovano ridefinendosi. Il rovesciamento ripristina la funzione dell’elemento consueto immergendolo nella dimensione mitica senza però separarlo dalla sua peculiarità. Ciò rende evidente come la vita possa esistere senza dalla bellezza, ma anche come lontana da quest’ultima perda un ingrediente insostituibile, poiché solo essa può qualificarla nel più alto dei termini trascendendo la fisicità materica ed elevandosi verso quel desiderio di immaterialità che tanto ossessiona l’umano.
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Sara Shakeel, Les Oréades © credits Sara Shakeel

​- ​Erika Cammerata
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