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Cinema & New Media​

Come l’Oscar di “Parasite” apre Hollywood al mondo

7/3/2020

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“Sbagliato premiare la Corea, ridateci Via Col Vento”. Questo è stato il commento del presidente Trump riguardo gli ultimi Academy Award, parole che distanziano ancora una volta il Tycoon dall’ambiente dello spettacolo, e che confermano l’astio profondo che divide queste due potenze dell’America. 
Eppure non è stato sbagliato premiare la Corea, e probabilmente non vedremo più un “Via col Vento” trionfare agli Oscar per molto tempo. Anzi la sorprendente, e gradita, vittoria di “Parasite” potrebbe aver finalmente aperto gli occhi ad Hollywood, e avergli permesso di gettare uno sguardo concreto alle cinematografie estere, annullando una volta per tutte quell’atteggiamento cauto e conservativo che aleggiava profondamente nell’Academy fino allo scorso anno, quando ad essere incoronato vincitore della serata fu “Green Book”. Un film che ripercorre fedelmente le radici del classicismo hollywoodiano per eccellenza, che scatenò commenti critici e scontrosi nei confronti delle premiazioni, e che mise anche in penombra il primo vero sintomo di un cambiamento che era in corso e che doveva solo finire di maturare. Le tre statuette vinte da “Roma” (tre delle più importanti) furono i primi segnali di una svolta che non è tardata ad arrivare. Ed è curioso che tale svolta sia giunta proprio allo scadere del decennio, un decennio di vittorie politicamente corrette, prevedibili e patriottiche. Un’industria che ha saputo ringiovanirsi invitando ad entrare tra i membri ufficiali dell’Academy professionisti provenienti da varie parti del mondo, con più donne e giovani cineasti; con una ritrovata freschezza che ha permesso di raggiungere un risultato che fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile.  
Quella di Parasite è stata una vittoria meritata, che riflette il coraggio dell’Academy di distanziarsi dalle sue radici tradizionali, che urla con forza che il mondo non è solo Americano e che il cinema non è solo Hollywood. No, Hollywood non ci basta più e non basta più nemmeno a coloro che l’hanno forgiata, nutrita e viziata. È ancora la mecca del cinema ma ha smesso di custodire questo primato in solitudine; e deve ora cercare di illuminare anche coloro che vivono nell’ombra, di dare possibilità a coloro che non le possiedono e di alimentare un mondo che non deve essere divisivo bensì il più inclusivo possibile. 
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Hollywood sembra voler essere finalmente quella bandiera sotto la quale la settima arte potrà manifestarsi quale simbolo di unione, privo di limitazioni; e anche se questa rinnovata intenzione proviene anche da una certa volontà di dimostrarsi ancora una volta la terra dove “i sogni si avverano” nonché dal proposito di schierarsi politicamente è difficile non approvare il messaggio di speranza e fiducia che è stato diffuso per il cinema intero, e non solo. 
Ecco perché “Parasite” è stato il candidato ideale per uscire allo scoperto. Un racconto universale, con una morale feroce alle divisioni di classe e in fondo un inno all’uguaglianza e al reciproco rispetto. Il rappresentante ideale per una presa di posizione audace nei confronti di un paese che si sta mostrando troppo isolato. Il cinema americano potrebbe diventare così non solo più un colonizzatore bensì un esempio dalla quale partire per poterci rinnovare. 
Una dimostrazione che da quelle parti in California si guarda anche altrove dato che in questa società globale sarebbe un peccato restarsene in disparte e ignorare i talenti e le maestranze che parlano ad un pubblico univoco attraverso questa arte collettiva. 
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Dopo quella notte forse nelle produzioni verrà data più fiducia all’originalità e alla sperimentazione, alla commistione di genere e alla visione del regista. Forse ci si allontanerà dalla tendenza esasperante dei reboot e dei remake, dal revival di vecchi successi del passato e che per i distributori diventerà più allettante portare nelle sale produzioni estere. 
 Hollywood ha detto che sta cambiando e non allontanerà più ciò che è diverso e che sarà disposto ad accoglierlo. Ha detto che il merito verrà premiato e che il cinema ha bisogno di essere alimentato perché è ancora il più potente occhio che possediamo per riflettere sui nostri tempi. 
È stata la vittoria dello sguardo, dell’intenzione e della poetica dell’autore, è stata l’apertura ad un modo nuovo di osservare il cinema e, ci si augura, di diffonderlo. 
Hollywood ha detto di aver capito di dover cambiare e che questa volta cambieremo insieme. 
Da ora, affianco alla grande insegna sulle colline di Los Angeles ci sarà spazio per qualcun altro, e non importa se questo altro sarà messicano, coreano, tedesco o indiano, l’importante è che ci sarà. 
- Federico Tocci
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