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La Belle Époque: un film sul cinema

24/5/2020

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La Belle Époque è un film francese del 2019 diretto da Nicolas Bedos, vincitore di tre Cesar.
Vede come protagonisti una coppia di settantenni in crisi, Victor e Marianne. Mentre lui, fumettista, è ancora legato all’artigianalità del suo lavoro, lei si appassiona alla tecnologia digitale, complice anche il lavoro del figlio nel mondo dei nuovi media. Marianne non riesce più a sopportare il marito, che reputa noioso e poco aperto alla svolta social del mondo: lo caccia di casa e torna dal suo amante. Dal canto suo Victor sembra non riconoscere più sua moglie, la donna di cui si era innamorato ormai tanti anni prima, e decide di ritrovare la scintilla perduta attraverso un viaggio che aveva ricevuto in regalo. Il viaggio in questione è un viaggio nel tempo tramite l’agenzia Time Traveller. I viaggi proposti dall’agenzia non sono però fantascientifici: si tratta di allestimenti precisi e perfetti, con regia, attori e scenografie a tema, in base alla scelta del cliente. Victor decide di tornare al suo primo incontro con Marianne, nel 1974, in un locale dal nome La Belle Époque. Inizialmente non riesce a sospendere l’incredulità, mantiene una certa distanza con quello che vede, mettendo alla prova la preparazione degli attori o criticando la non totale aderenza ai suoi ricordi. Ma quando incontrerà Margot, l’attrice che interpreta Marianne, pur consapevole della finzione, nascerà un sentimento di amore e di affetto.
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La concezione del tempo de La Belle Époque ricorda per alcuni tratti Midnight in Paris (Allen, 2011). C’è un immaginario collettivo del tempo passato che spesso è un’illusione. Sogniamo di vivere in epoche che non ci sono mai appartenute perché siamo condizionati dalla messa in scena che i media ci propongono. O forse il nostro ricordo della giovinezza è filtrato dalla nostalgia che ci fa considerare quello che abbiamo vissuto come migliore rispetto al presente. Esemplare in questo senso è la scena in cui Marianne farà il suo ingresso nella ricostruzione de La Belle Époque, sostenendo di non aver mai amato molto quel posto ed elencando i difetti degli anni Settanta, distruggendone così la visione idilliaca del marito. Come Gil, il personaggio del film di Woody Allen, arriva un momento in cui si intuisce l’importanza di vivere il presente invece di cullarsi nell’illusione di un passato che non c’è più, o non c’è mai stato.
Il tema del meta-cinematografico rappresenta l’aspetto più interessante del film.
Qui tutta la rimessa in scena del periodo storico è una finzione di cui tutti sono consapevoli. Ma all’interno di questa si rielaborano sentimenti e dinamiche vere e senza tempo: l’affetto che Margot prova per Victor, l’amore travagliato tra Margot e il regista Antoine, che a causa dei loro conflitti modificano sempre in itinere le scelte registiche e attoriali prese in precedenza. Anche lo spettatore nel guardare un prodotto filmico ne riconosce la distanza, ma contemporaneamente si identifica con i personaggi e ritrova situazioni ed emozioni vissute, stabilendo un legame con i protagonisti e dando una propria interpretazione a quello che vede.
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​​Il film trova la sua centralità nel rapporto tra lo spettatore e il cinema: Victor sa di vivere in una finzione, ma per essere coinvolto deve fare uno sforzo e sospendere la sua incredulità. Questo è il patto che ogni volta che guardiamo un film stringiamo con il regista. Anche il voyeurismo, caratteristica intrinseca del cinema, è incarnato nel regista e nei suoi assistenti che guardano e commentano la vicenda dall’alto, invisibili, provandone anche piacere. La pellicola ci ricorda i bilanciamenti di potere che si ritrovano nell’industria cinematografica. Il regista impone la sua visione, ma lo spettatore ha il diritto di credere o non credere a quello che vede e l’attore, con la sua interpretazione, è in grado di modificare e reinterpretare il copione che si trova davanti. A proposito di attori, Margot ne rappresenta l’essenza. Non si capisce quanto
sia sincera e quanto stia recitando. La vediamo in scene diverse con parrucche sempre differenti, e ogni volta che sembra essere pienamente sé stessa ci contraddice di nuovo, anche perché l’attore è colui che stringe un rapporto con il personaggio che interpreta, influenzandosi a vicenda.
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Bedos esplicita queste tematiche attraverso la regia e il montaggio: presenta diverse cornici narrative che esplorano i set cinematografici e teatrali che riflettono sul rapporto tra spettatore e regista e sui meccanismi del cinema anche attraverso un montaggio ben visibile, che rileva tutta la finzione cinematografica.
L’esperienza di immersività che vive Victor è la stessa che vive Marianne, con la differenza che la seconda si affida alla realtà aumentata e alle nuove tecnologie. Attraverso la condivisione dei propri spazi (Victor deciderà di collaborare con il figlio nel mondo dell’illustrazione digitale, mentre Marianne si farà vedere nel set dell’agenzia Time Travelling) questa diventa un modo per scoprire quanto ancora i due protagonisti hanno in comune e quanto sia forte il desiderio di tornare a stare insieme.
Elena Rossi 
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