chiasmomagazine
  • Home
  • Arte
  • Cinema & New Media
  • Gender Studies & Queer Culture
  • Poesia
  • CHIASMO EXHIBIT
  • La redazione

Cinema & New Media​

Life Out of Balance

31/5/2020

0 Commenti

 
Sono gli anni ’80 e le nazioni più sviluppate al mondo vivono il pieno della rivoluzione digitale. Finalmente si può ammirare la CGI nel cinema, servizi come l’ATM prendono piede e le case cominciano a riempirsi di computer. La vita dell’uomo moderno pare essere scandita dalla parola “progresso”.
È proprio in questo periodo -  per essere precisi nel 1982 - che vede la luce il film sperimentale Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio, che attraverso l’assenza della parola accompagna lo spettatore in un viaggio nella società degli Stati Uniti di quegli anni. La parola “koyaanisqatsi” (in Hopi, ovvero una lingua uto-azteca) sta a significare “vita senza equilibrio” o “vita caotica”, ma come affermato da Reggio, il film non ha l’intento di polemizzare sull’effetto della tecnologia sulla popolazione, bensì quello di mostrare che qualsiasi aspetto della vita umana convive con la tecnologia: “It's not that we use technology, we live technology”. 
Foto



​Koyaanisqatsi
, come detto prima, è un’opera che non fa uso della parola perché, a detta di Reggio, la parola non riesce più ad esprimere e descrivere il mondo in cui ci troviamo. Alla lingua, il film preferisce la colonna sonora di Philip Glass che con l’alternarsi tra le note di un organo e quelle dello strumento caratteristico degli anni ‘80, il sintetizzatore, rappresenta appieno il contrasto tra passato e presente che il film propone.
L’inizio della pellicola è composto da numerosissime inquadrature naturali in time-lapse (per la prima volta impiegato così massivamente nella produzione di un film) che hanno il sapore della “quiete prima della tempesta” e che a posteriori, fanno riflettere su come l’uomo sia diventato il padrone della Terra a discapito della stessa. 
Foto

Foto

Foto


​Le maestose immagini sono in totale contrapposizione con quello che il film mostra successivamente: l’uomo e il suo incontrastato dominio. Esplosioni nucleari e macchinari giganteschi fungono solo da preludio alle immagini della società statunitense con i suoi immensi grattacieli e le sue autostrade intasate.
  
Foto

Foto
Foto

Foto



​Se c’è una cosa che si può dire di questo film, è che è invecchiato bene. Non solo i temi sul progresso risultano ancora più potenti, ma alla luce della quarantena caratterizzante il nostro 2020, le inquadrature che mostrano la civiltà in numerosi assembramenti (lo so, è ironico) diventano davvero emozionanti, almeno per il sottoscritto.
​In questa ottica, Koyaanisqatsi ci fa riscoprire l’essere umano in un altro senso, terribile e malinconico allo stesso tempo. Possibile che l’essere che ha conquistato e depredato il proprio pianeta, nonché l’unico disponibile, sia così fragile di fronte ad un virus? 
Foto

Foto

Foto

Il finale del film fa riflettere proprio su tutto ciò. Sempre più immagini rappresentano l’essere umano nella sua mortalità: primi piani molto stretti di gente comune, una mano di una anziana che chiede conforto, e la vera e propria inquadratura finale, ovvero l'esplosione del primo razzo Atlas-Centaur nel maggio del 1962.
​Il tutto suggerisce la presenza di uno schema più grande, quello in cui l’uomo può osare l’ergersi a Dio, ma che, inevitabilmente, deve subire le conseguenze di tale atto.
 
Foto

Picture

Leonardo Piacente 
0 Commenti



Lascia una risposta.

Fornito da Crea il tuo sito web unico con modelli personalizzabili.
  • Home
  • Arte
  • Cinema & New Media
  • Gender Studies & Queer Culture
  • Poesia
  • CHIASMO EXHIBIT
  • La redazione