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Né uccellacci né uccellini: cosa ci insegnano Totò e Pasolini sul fallimento della comunicazione contemporanea?

19/4/2020

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​“Essere vivi o essere morti è la stessa cosa”. Questa è la morale della favola anticonformista raccontata da Pier Paolo Pasolini nell’episodio da lui diretto nel film corale Le streghe, del 1967, dal titolo La terra vista dalla luna. Nell’episodio Totò interpreta Ciancicato Miao, un personaggio in bilico tra realtà e sogno, che insieme al figlio Basciù, interpretato da Ninetto Davoli, rimane solo a causa della morte della moglie. L’elemento femminile sembra essere l’unica guida dei due, che rimanendone privi si lanciano subito alla ricerca di una nuova compagna (Silvana Mangano) per Ciancicato. Quest’ultimo durante la ricerca si dimostra un’irrecuperabile vittima degli eventi, incapace di districarsi tra l’inganno onirico e il mondo reale (emblematica la scena in cui scambia un manichino per una donna da corteggiare, dalle forme e proporzioni perfette).
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Totò nei panni di Cianciato Miao

​Pasolini estrapola il principe della risata dal suo contesto comico popolare per inventare e cucirgli addosso un tipo umano, quello dell’uomo che ripete sempre gli stessi errori per ignoranza della realtà, ma un’ignoranza dettata da una profonda innocenza. L’immensamente umano e il clownesco sono i due fattori che costituiscono l’essenza di Totò per Pasolini e che non solo lo emancipano dal suo cliché comico, ma lo rendono perfetto per incarnare il candore del personaggio fiabesco.
Ciancicato e Basciù ritornano a essere prepotentemente attuali oggi, nell’era della post-verità, dove l’interpretazione del reale è sottoposta ai mille inganni del web, vivaio di fake news e di informazioni prive di fonti, manipolate per tornaconto personale, e che rendono moltissimi utenti vulnerabili e potenziali vittime di un continuo inganno, perché privi di una guida che li aiuti a dominare le possibilità del virtuale. Per i due personaggi pasoliniani questa guida viene a incarnarsi in Assurdina, la nuova moglie sordomuta di Ciancicato. Tra i due si instaura una comunicazione apparente che però tiene conto dell’interpretazione e dei desideri del solo marito. Il rapporto impari tra i due e l’accondiscendenza senza limiti di Assurdina sono tra le cause della morte di quest’ultima.
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Ciancicato Miao (Totò) e Assurdina (Silvana Mangano) il giorno delle loro nozze.

​Nuovamente soli e caduti nello sconforto, padre e figlio tornano a casa, ma incontrano lo spirito della defunta, e apprendono, dopo lo spavento iniziale, che Assurdina, nonostante sia morta, può continuare a fare tutte le faccende di casa e anche ad avere rapporti sessuali con Ciancicato. La vicenda si conclude così con un paradossale lieto fine in cui la differenza tra la vita e la morte si annulla. Il personaggio di Silvana Mangano non incarna dunque una guida capace di mediare efficacemente la complessità del reale per i due protagonisti, ma uno spettro rassicurante su cui proiettare le proprie incertezze e i propri desideri. Una figura di questo tipo è destinata a divenire inevitabilmente attuale nella contemporaneità. In un’epoca di insicurezza storica dove l’informazione è sempre più divisiva e la distinzione tra falso e vero sembra non contare più, l’essere umano cerca infatti un punto fermo, ma più che una personalità o un appiglio forti di per sé, autonomi, gli è necessario qualcosa o qualcuno che gli permetta di esorcizzare le proprie paure e che funga da vomitorio per le proprie frustrazioni. Il personaggio di Assurdina prende quindi nuovamente vita con l’ascesa dei populismi, recinti per ogni Ciancicato contemporaneo, a cui non interessa qualcuno che lo aiuti davvero a interpretare la realtà in cui vive, poiché questa, filtrata dai modi e dai tempi del virtuale, è diventata qualcosa in cui “essere reali o essere inventati è la stessa cosa”.
Nell’epoca in cui l’accesso all’Informazione è diventato più facile che mai, dunque, il contatto con la cultura sembra paradossalmente diventato più arduo da ottenere. Quali sono le cause e che responsabilità ha la classe intellettuale? Anche in questo frangente i personaggi interpretati da Totò per Pasolini risultano essere più che mai attuali.
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Totò e Pier Paolo Pasolini sul set di “Uccellacci e Uccellini”.

Nel famosissimo Uccellacci e Uccellini (1966) De Curtis dà vita a due figure che si muovono su due piani sovrapposti della narrazione (sempre con Davoli a fargli da spalla). Il primo di questi, Totò (il personaggio porta lo stesso nome dell’attore), è un agricoltore che si muove col figlio in uno scenario di periferia dove le differenze di classe emergono a corrompere l’innocenza del sottoproletariato. E proprio della cultura sottoproletaria è portatore Totò, che riesce a parlare degli argomenti più alti dicendo sempre le stesse frasi fatte, mai elaborate criticamente, in un mix di proverbi e affermazioni presi dalla saggezza popolare e spesso travisati.
Padre e figlio incontrano un corvo, un intellettuale, che cerca di insegnargli perché il loro comportamento finanzia le disparità sociali, e perché è compito del sottoproletariato elevarsi dalla propria condizione adottando abitudini virtuose (ad esempio l’uso di contraccettivi o la rinuncia a risolvere ogni malinteso con la forza), che lo aiuteranno a metter fine al conflitto di classe.
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Totò e Ninetto Davoli in “Uccellacci e Uccellini”.

​Per mettere in luce la propria importanza quale educatore del popolo, il corvo racconta ai protagonisti una favola moraleggiante su un certo frate Ciccillo (il secondo personaggio interpretato da Totò), che in un tempo imprecisato viene incaricato da San Francesco di evangelizzare gli uccelli. Egli, recandosi prima dai falchi e poi dai passeri, riesce dopo lunghe peripezie nella sua impresa, ma nonostante le due specie siano evangelizzate, i falchi continuano a mangiare i passeri e i passeri ad aver paura dei falchi.
Frate Ciccillo, metafora dell’intellettuale, è convinto che la sua capacità di mediare combatterà le paure e i bisogni che spingono gli uccelli a combattersi, e li renderà uguali. Ma il conflitto tra natura e cultura è insanabile, e le aspirazioni dell’intellettuale nel risolvere le disuguaglianze risultano ingenue e fallimentari.
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Totò nei panni di frate Ciccillo.

​Questo avrebbe dovuto apprendere il corvo dal suo stesso racconto, ma l’intellettuale qui mostrato da Pasolini racconta più per autocompiacimento che per educare. Chiuso nel suo paternalismo, il corvo non riesce a instaurare una vera comunicazione che attenui la distanza culturale tra lui e il sottoproletariato, con il risultato che Totò e suo figlio Ninetto, stanchi del suo continuo chiacchiericcio intriso di bonari rimproveri e moralismo, decidono di mangiarselo arrosto, per poi continuare a vivere in uno scenario dove il più forte si approfitta del più debole, senza possibile soluzione.
Il fallimento della comunicazione da parte della classe intellettuale così bene espresso da Pasolini è un problema crescente nella società della rete, e ci dimostra quanto il suo film sia invecchiato bene (anche se non si intende in questo articolo enfatizzare la figura del Pasolini profeta cara a una certa parte di critica). Si moltiplicano infatti sul web, e in particolare sui social, pagine dedicate a mettere in ridicolo gli utenti che credono alle fake news, o che esorcizzano le loro paure urlando al complotto, o che hanno sfiducia nella scienza. Si ridicolizza insomma la naturale tendenza culturale regressiva che gli esseri umani manifestano nei periodi di incertezza storica. Quello di cui non tiene conto la nuova élite culturale social (o quella che si crede tale), è che questa tendenza si presenta a prescindere dal livello di istruzione, e che chiunque, indipendentemente dal contesto formativo di partenza, può cadere vittima di notizie dubbie non accuratamente verificate, ma che alimentano le sue paure o le sue speranze, o può cedere alle false sicurezze offerte dal populismo. Il web, come sicuramente affermerebbe Totò, è una livella. Ma l’annullamento di fatto delle classi sociali che avviene in rete spaventa, con conseguenze spiacevoli. Come il corvo, infatti, la classe intellettuale odierna non riesce ad apprendere che il proprio atteggiamento, apparentemente interessato a mettere in luce le problematiche legate all’ignoranza del popolo, e a risolverle, si traduce in realtà in un evidenziare la propria superiorità culturale con compiacimento.
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Uno dei corvi impiegati nella produzione di “Uccellacci e Uccellini”.

​Lo stesso comportamento si rinviene in eminenti personalità appartenenti agli ambiti più vari, che invece di mediare la cultura si divertono a insultare gli utenti con cui entrano in contatto, ridicolizzando i loro dubbi e i loro timori, per poi essere osannati da schiere di fan, a cui piace l’illusione di non appartenere al sottoproletariato del web. Il risultato è l’incremento di divisioni sociali sempre più nette che spingono la popolazione ad avere sempre meno fiducia nella scienza, nella cultura e nella classe intellettuale, e anzi a osteggiarle. Questa sfiducia crescente è senz’altro una delle cause alla base del ritorno in auge dei populismi e dei sovranismi, che puntano a fornire facili capri espiatori per le paure e il malcontento della popolazione. Gli intellettuali falliscono nuovamente nel fare da tramite per la cultura e l’informazione, alla base del sostentamento della democrazia. Per non fare la fine del corvo, è invece fondamentale mediare, che non vuol dire istruire e neppure divulgare, ma comprendere i bisogni e i timori di ogni classe sociale, e fare della cultura un ponte e uno strumento adattabile a esigenze diversissime tra loro. Tentando invece di risolvere i problemi della nostra società rimanendone ben distanti e colpevolizzando la presunta ignoranza delle fasce più deboli, coprendole di ridicolo, non si farà altro che comportarsi esattamente come frate Ciccillo, costretto a ripetere un’evangelizzazione che non andrà mai a buon fine. Come il frate, infatti, l’intellettuale contemporaneo è convinto di non avere nessuna responsabilità nel fallimento della comunicazione culturale, e proietta la colpa dei propri errori, giustificandola, su un’irrisolvibile separazione, in realtà inesistente, tra uccellacci e uccellini.
 
 
Dionisia Matacchione
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