chiasmomagazine
  • Home
  • Arte
  • Cinema & New Media
  • Gender Studies & Queer Culture
  • Poesia
  • CHIASMO EXHIBIT
  • La redazione

Cinema & New Media​

Un immaginario del malessere -Safe, 25 anni dopo, continua a parlarci-

12/4/2020

0 Commenti

 
​Secondo l’occhio femminista
​In Safe, film di Todd Haynes del 1995, Julianne Moore interpreta magistralmente il ruolo di Carol White, una casalinga californiana (lei stessa si definisce una “home-maker”) che verso la fine degli anni ’80 sviluppa una malattia estremamente debilitante. Quando i dottori non riescono a fornirle una diagnosi precisa, Carol inizia a pensare di avere delle fortissime allergie ambientali.
Com’è evidente già da queste poche righe, questo è un film che apre una quantità di prospettive possibili per le interpretazioni più variegate e interessanti: dal femminismo all’ambientalismo, dalla critica sociale alle risonanze più attuali con l’epidemia di cui tutti stiamo vivendo le conseguenze. In ogni caso, rimane un lavoro inquietante che funziona a più livelli contemporaneamente. Infatti la lista può continuare: dalla chiosa alla cultura del “self-help” alla metafora della crisi dell’AIDS, dal dramma sull’isolamento sociale, all’horror sul nemico invisibile. Tra tutte queste sfaccettature, che sono comunque correlate tra di loro, in questo articolo vorrei soffermarmi su due in particolare: la prospettiva femminista e la rappresentazione della malattia.
Foto

Todd Haynes è sempre stato legato alla cultura queer in quanto regista apertamente gay, ma lui stesso ha fatto riferimento alla “teoria femminista [che] ha lasciato un segno indelebile sul mio pensiero critico - e creativo” nell’introduzione a Far from Heaven, Safe, and Superstar: Three Screenplays (Grove/Atlantic Inc., 2007, p. viii). Questo si manifesta in alcune caratteristiche della sua rappresentazione del personaggio di Carol: si tratta infatti di una figura prevalentemente silenziosa ed isolata, anche quando si trova in delle situazioni che sono socialmente e culturalmente designate allo scopo della condivisione, come nella conversazione con uno psichiatra per esempio. Quando il medico le chiede di parlare di che cosa sta succedendo nella sua vita, Carol non è in grado di fornire una risposta, non tanto perché non si rende conto che qualcosa sta succedendo (la sua stessa presenza nello studio di uno psichiatra è causata proprio da questa consapevolezza), ma perché non ha le parole, non ha il linguaggio per esprimersi, e così rimane inascoltata. Per inciso, si può anche notare che questo spazio, per principio uno spazio terapeutico, è comunque soggetto alle dinamiche della disparità di genere: lo psichiatra, come tutti i medici nel film, è un uomo, che, tra l’altro, guarda Carol letteralmente dall’alto in basso da dietro un’imponente scrivania.
Inoltre, durante lo svolgimento della trama, Carol subisce una sorta di “make-over” al contrario: dallo stereotipo della perfetta moglie, madre, donna, che mette in scena la sua femminilità in un modo iper-caricato e servile, alla semplicità disadorna che man mano si fa strada nella sua vita con l’avanzare della malattia. Così, la malattia si presenta anche come un agente di cambiamento, di sconvolgimento addirittura, nella vita di Carol, che la porta, tra le altre cose, a rivedere e a mettere in dubbio tutta una serie di presupposti sui quali la sua soggettività si era basata fino a quel momento.
Foto

​​La dialettica malattia-cura
E questo ci porta alla malattia e alla sua rappresentazione e, specularmente, alla rappresentazione della cura. Qui, la cura si manifesta nella forma di un centro, una specie di collettivo, apparentemente non-profit, ma il cui fondatore vive in una casa signorile, un po’ incongrua nel contesto di austerità e essenzialità che caratterizza il centro di Wrenwood. Carol vi approda in cerca di un’alternativa all’incapacità della medicina tradizionale di fornirle una diagnosi, e tantomeno una soluzione, per la sua condizione. In realtà, questo centro è basato su un presupposto fondamentalmente contraddittorio: sì, la malattia è causata da agenti chimici presenti nell’ambiente e quindi il centro è situato in mezzo al deserto apposta per evitarli, ma al tempo stesso la manifestazione sintomatica dipende unicamente dall’individuo, dall’amore (o l’astio) che l’individuo prova nei confronti di se stesso. E così, anche per Carol, Wrenwood diventa il fulcro di un paradosso: se Carol decide di andarci è perché si tratta in fin dei conti di un luogo e di una comunità che riconosce il suo malessere e tenta di fornire una via di uscita, a differenza del sistema sanitario canonico, ma alla fine la protagonista viene completamente soggiogata dall’ideologia che pretende di addossare su di lei tutta la responsabilità per la sua malattia, mettendone in dubbio di conseguenza anche la realtà empirica.
Foto

Uno dei punti che Safe mette in evidenza è proprio questo: spesso le filosofie legate al “self-help” puntano il dito contro l’individuo come la causa di tutti i suoi mali e, indipendentemente dal fatto che da un punto di vista psicologico questo può diventare insostenibile, soprattutto per persone che si rivolgono a questo tipo di teorie per risolvere un problema che è già presente — indipendentemente da questo, alcune di queste ideologie hanno come conseguenza la mancata responsabilizzazione di forze sistemiche più ampie che sono prepotentemente alla radice di problemi di salute, ma non solo, di larga scala. Per esempio, è possibile ascrivere tutta una serie di disturbi respiratori a patologie legate all’ansia, ma questo non dovrebbe mai servire da maschera per l’azione concomitante dell’inquinamento dell’aria, per prendere un fattore qualunque tra i tanti: è possibile che entrambe le cause contribuiscano al manifestarsi dei sintomi, ma il fatto che una, la prima, sia legata alla sfera dell’individuo, più semplice da colpevolizzare, non dovrebbe portare a una mancanza di considerazione della seconda.
Safe ha quindi il potenziale di produrre (e non solo riprodurre) svariate riflessioni, e questo vuole essere soltanto un assaggio.
​Lucia Pasini 
0 Commenti



Lascia una risposta.

Fornito da Crea il tuo sito web unico con modelli personalizzabili.
  • Home
  • Arte
  • Cinema & New Media
  • Gender Studies & Queer Culture
  • Poesia
  • CHIASMO EXHIBIT
  • La redazione