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Gender Studies & Queer Culture

Da suddite a cittadine - Le donne e il diritto di voto

1/6/2020

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Il 2 giugno 1946 è stato un giorno epocale per la storia italiana: è stato introdotto il suffragio universale. Ma il viaggio che è stato fatto per arrivare a questo risultato (e anche quello che c’è ancora da fare) è stato molto travagliato.
Nell’Ottocento la donna rappresentava la conservazione dell’ordine sociale, identificato nell’istituzione familiare. Con questa scusa alle donne venivano negate l’indipendenza economica e l’autonomia individuale, mentre la supremazia maschile e la gerarchia dei diritti erano considerati come un aspetto biologico e naturale, che prevedeva la cittadinanza femminile come relegata alla cura della casa e della famiglia.
Il primo impulso ad un movimento suffragista nacque nel 1861, quando le donne chiesero l'estensione dei diritti che gli erano già stati concessi nei luoghi dove vigeva il codice austriaco, ma senza successo. Intorno al 1880 videro la luce diversi movimenti politici delle donne, il cui capostipite fu la Lega promotrice degli interessi femminili. Queste organizzazioni avevano anche organi di stampa propri, molto importanti nella diffusione delle idee politiche. Gran parte di queste associazioni si sciolsero verso la fine dell’Ottocento, ma al loro posto nacque l’Unione femminile, associazione con lo scopo di istruire la donna, tutelare le lavoratrici, promuovere l’istruzione e l’emancipazione politica femminile. Venne pubblicata, a loro carico, anche una rivista «Unione femminile», che nel 1905 presentò un’inchiesta riguardo il voto amministrativo e politico femminile, illustrandone il variegato dibattito sul tema. 

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Programma della Lega per la tutela degli interessi femminili, 1896, volantino pieghevole, Fondo Cittadine, Archivi dell’Unione femminile nazionale

​Nel 1907 viene presentata la Petizione delle donne italiane per il voto politico e amministrativo, redatta da Annamaria Mozzoni a favore dei vari movimenti suffragisti in campo. Anche questa proposta, però, si rivelò una delusione.
Dopo la Grande guerra venne approvata dalla Camera dei deputati una proposta di legge a favore del suffragio delle donne, ma con l’avvento del fascismo questa non sarà nemmeno discussa. Nonostante le premesse, però, il ruolo delle donne diventò ancora più importante in questo periodo storico: parteciparono attivamente agli scioperi, organizzarono i movimenti di Liberazione e reintrodussero i valori del suffragismo e dell’emancipazione giuridico-politica. Le due organizzazioni più importanti furono l’Udi (Unione Donne Italiane) e il Cif (Centro Italiano Femminile).
La nascita di tutti questi movimenti politici a favore dell’emancipazione femminile era un tentativo di distruggere la divisione tra pubblico e privato che, soprattutto dopo aver partecipato alla Resistenza, le donne richiedevano a gran voce. Grazie a questo comune intento, tali associazioni furono in grado di raccogliere ampi consensi tra le donne di qualsiasi idea politica e ceto sociale. I diritti, infatti, non avevano una bandiera politica: tutte le donne ne sentivano l’esigenza.
La prima richiesta di suffragio femminile arrivò nel 1944 da parte dell’Udi, con il supporto di tante altre organizzazioni pro-voto, mentre la concreta realizzazione avvenne con la promulgazione di un decreto-legge che stabiliva che dopo la guerra si sarebbe dovuto eleggere una Assemblea Costituente a suffragio universale. Quando finalmente l’Italia fu liberata, le donne proposero la Settimana Pro-voto, un periodo caratterizzato da comizi popolari, per discutere dell’importanza dei diritti politici, e da petizioni, per far conoscere le opinioni femminili. 
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1945/1971 Da un quarto di secolo l’Unione Donne Italiane si batte per l’emancipazione femminile, 1 gennaio 1971

​La svolta fondamentale ci fu il 30 gennaio 1945, quando venne approvato il decreto Bonomi (conosciuto anche come decreto De Gasperi-Togliatti) che estendeva il diritto di voto alle donne. I due statisti a modo loro rivendicavano l’importanza dell’accesso politico per le donne: Togliatti ne sottolineava l’utilità per il progresso e per la democrazia, mentre De Gasperi per uno sviluppo della coscienza religiosa femminile. Ma tale legge non riconosceva alle donne il diritto di voto passivo, cioè l’eleggibilità femminile, e questa assenza ricordava che la possibilità di essere elette era un concetto che veniva ancora ostacolato o nemmeno preso in considerazione.
Quando anche il diritto di voto passsivo fu introdotto, l’anno successivo, la stampa reagì con indifferenza, mentre le donne che facevano parte delle varie associazioni pro-voto si riunirono insieme per festeggiare e per discutere del proprio futuro da cittadine. Purtroppo i problemi non erano finiti: gli anti suffragisti sostenevano l’idea che le donne non fossero abbastanza mature per il voto, cercando di diffondere l’astensionismo. Sia i partiti di massa che l’Udi e la Cif reagirono a queste accuse: i primi sostenendo l’obbligatorietà del voto, mentre le associazioni femminili facendo un’ampia propaganda di pedagogia politica per diffondere l’importanza del voto femminile. I timori risultarono comunque infondati, poiché si registrò un’ampia partecipazione: le prime votazioni femminili avvennero durante le amministrative del 10 marzo 1946, durante le quali 2000 candidate risultarono elette. Ma quelle del 2 giugno assunsero un maggiore valore simbolico, in quanto oltre l’89% delle donne aventi diritto votò per esprimere la propria volontà politica sul referendum Monarchia o Repubblica e per eleggere i membri dell’Assemblea costituente. 


“Lunghissima attesa davanti ai seggi elettorali. Sembra di essere tornate alle code per l’acqua, per i generi razionati. Abbiamo tutti nel petto un vuoto da giorni d’esame, ripassiamo mentalmente la lezione: quel simbolo, quel segno, una crocetta accanto a quel nome. Stringiamo le schede come biglietti d’amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi e molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra uomini e donne hanno un tono diverso, alla pari.
”
(A. Garofalo, L'italiana in Italia, Laterza, Roma-Bari 1956, p. 38)

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Donne italiane al voto il 30 gennaio 1945, Credits: Corriere della Sera

I risultati elettorali smentirono i pregiudizi diffusi, l’astensionismo femminile fu inferiore a quello maschile e la partecipazione complessivamente fu molto alta. All’Assemblea Costituente furono elette 21 donne, il 4%: evidentemente le donne nel votare avevano scelto candidati maschili, riponendo la loro fiducia comunque negli uomini. Le donne elette dovettero anche cercare di essere legittimate agli occhi della popolazione. Infatti, ad esempio, la stampa invece di accogliere le richieste delle deputate di porre l’accento sulle loro competenze e titoli di studio, sottolineava i dettagli più frivoli riguardanti la scelta dei vestiti e gli atteggiamenti, riconducendo dunque l’immagine della donna ad una figura tradizionale.
Il 2 giugno 1946 non fu, dunque, un punto di arrivo quanto di partenza: successivamente si istituirono corsi e scuole per formare il ceto politico femminile, si cercò di diffondere anche tra le donne più povere, che soffrivano di più i problemi del dopoguerra, forme di partecipazione democratica.
Le donne finalmente stavano trovando una loro voce, avevano un riconoscimento e una rappresentanza. In cabina elettorale erano lontane da tutti gli uomini che pensavano di poter decidere il voto anche per loro. I diritti politici femminili sono sempre a rischio e il percorso verso una piena eguaglianza politica è ancora lungo, ma dobbiamo al voto delle donne di quel 2 giugno la presenza di articoli costituzionali sulla parità di genere e anche la presenza successiva di altre Parlamentari che nel corso degli anni hanno promulgato leggi fondamentali come: 


​“La Legge Merlin (1958), che poneva fine alla prostituzione di stato e alla divisione tra "donne per bene" e "donne per male", la tutela delle lavoratrici madri e i congedi parentali (1971), il divieto di licenziamento per causa di matrimonio (1963), l'accesso delle donne in Magistratura (1963), la riforma del Diritto di famiglia (1975), l'abrogazione della rilevanza penale della causa d'onore (1981), la violenza sessuale come reato contro la persona (1996) la legge Golfo-Mosca (2011).”
 (P. Gabrielli, 2 giugno 1946: una giornata memorabile​)

Il diritto di voto è stato il primo passo per costruire una coscienza e una legittimità politica che oggi consente alle donne di avere una voce e di combattere ogni giorno per i propri diritti.

​Elena Rossi

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Federico Patellani fotografa Anna Iberti per il settimanale Tempo (edizione del 15 giugno 1946)
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