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Gender Studies & Queer Culture

Disclosure: la comunità trans tra visibilità e discriminazione

13/9/2020

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Il 19 giugno, Disclosure esce su Netflix. Prodotto da Laverne Cox e diretto da Sam Feder, è un progetto che percorre la storia e l’evolversi della rappresentazione della comunità trans sul grande e il piccolo schermo, a partire dal 1901 con il breve film muto Old Maid Having Her Picture Taken. Il taglio è particolarmente penetrante: tutte le voci che sentiamo nel corso del documentario appartengono a donne e uomini trans e persone non binarie che lavorano e fanno parte della stessa industria su cui si trovano a riflettere, interrogandosi sul ruolo che il cinema e la televisione hanno giocato nel determinare il modo in cui la società vede la loro comunità, e nel modo in cui la comunità vede sé stessa.

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Indya Moore per Wonderland Magazine, Credits: il partner di Indya Moore @indyamoore/Instagram
- Il paradosso della rappresentazione ​
Uno dei punti focali che il documentario mette in rilievo potrebbe essere definito come il paradosso della rappresentazione: in un momento in cui, a partire da Pose, la comunità transgender si è finalmente (ri)appropriata della propria rappresentazione su piattaforme di entertainment di massa, la stessa comunità è vittima di violenza e discriminazione in maniera sproporzionata.

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Protesta di Act Up! nella serie FX Pose
La data in cui Disclosure è comparso su Netflix è particolarmente significativa in questo senso. Prima di tutto, il lunedì della stessa settimana, la corte suprema degli Stati Uniti ha dichiarato illegale la discriminazione lavorativa basata sull’identità di genere e/o sull’orientamento sessuale. Nel documento che spiega il ragionamento dietro questa decisione, leggiamo: «un datore di lavoro, che licenzia un impiegato perché quest’ultimo è omosessuale o transgender, attua il licenziamento a causa di caratteristiche o azioni che non avrebbe messo in discussione in una persona di sesso differente». Inoltre, il 19 giugno è Juneteenth, il giorno in cui la comunità Afroamericana celebra la fine della schiavitù, ovvero il momento in cui, nel 1866, terminò in Texas la corta ma sanguinosa Guerra Civile. Quest’anno cade anche nel bel mezzo di un ripensamento generale delle dinamiche razziste perpetrate dal sistema.
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​Modello ed attivista trans Yves Mathieu, Credits: Ira L. Black/Corbis via Getty Images
Ma, allo stesso tempo, il Ministero dell’Educazione minaccia di tagliare i fondi a tutti gli stati che non vietano agli studenti transgender di partecipare alle attività sportive; l’amministrazione Trump rende legale, per le compagnie di assicurazione sanitaria, di negare i propri servizi alle persone transgender; J.K. Rowling, dall’alto della sua piattaforma a risonanza mondiale, si esprime con una retorica transfobica; due giorni dopo l’omicidio di George Floyd, Tony McDade, un uomo transgender, è stato ucciso dalla polizia in Florida, ma la sua storia non raggiunge con altrettanta veemenza le proteste globali in sostegno della comunità afro-americana, e più donne transgender vengono uccise, Riah Milton, Dominique Fells, Oluwatoyin Salau, e innumerevoli altre.
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Oluwatoyin Salau, uccisa a soli 19 anni. Credits: @spicebae_/Instagram
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​Indya Moore indossa degli orecchini rappresentanti 16 donne trans nere uccise negli USA nel 2019, Credits:  Brian Ach/Getty Images
- Una presenza ambivalente
Disclosure ripercorre, abbiamo detto, gli esempi mediatici di rappresentazione della comunità transgender, iniziando 120 anni fa. La carrellata è completa: andiamo da casi più famosi come Silence of the Lambs e Orange Is the New Black ai corpi brutalizzati in Law & Order: SVU, e addirittura ai Looney Tunes. Vengono identificati due film in particolare che hanno dato il la a quelli che sono diventati degli stereotipi della rappresentazione mediatica della comunità transgender: Psycho, che rappresenta le persone transgender come degli psicopatici o degli assassini, e in ogni caso come degli individui la cui devianza rispetto alla norma prestabilita costituisce una minaccia; in The Crying Game invece, il personaggio transgender è ridotto al suo “segreto”, e una volta che questo segreto viene rivelato, il suo amante si sente male fisicamente, e comincia a vomitare. Oltre a ciò, una quantità di serie TV, a partire da Sex and the City, raffigura le donne transgender unicamente come prostitute senza però mai interrogarsi sulle ragioni sociali che le spingono a prostituirsi, mentre serie incentrate sulla vita di ospedale come Grey’s Anatomy o ER riproducono una linea narrativa che vede la persona transgender morire di una malattia legata alla terapia ormonale o al loro sistema riproduttivo biologico.
L’ambivalenza di questa presenza mediatica, che sì vede Laverne Cox elevata al ruolo di star cinematografica a tutti gli effetti, ma che sottolinea anche quanto sia atroce la realtà fuori dallo schermo, è riassunta nel documentario da Jen Richards, che commenta: « Da un lato, forse non avrei internalizzato quel senso di mostruosità, la paura intorno all’apertura, o una visione di me stessa come qualcosa di odioso o come uno scherzo. Forse riuscirei a uscire con un uomo senza avere l’immagine di uomini che vomitano. Dall’altro lato, però, chissà se mi sarei resa conto di essere transgender senza aver visto alcuna rappresentazione della varianza di genere sullo schermo».
Questo è uno dei momenti in Disclosure in cui vediamo le persone intervistate in difficoltà nell’esprimere le proprie emozioni: le lacrime salgono agli occhi e le parole manifestano tutta la loro inadeguatezza. Del resto, la sfilza di spezzoni cinematografici che si susseguono è scomoda anche per gli spettatori cis; si può solo immaginare la sofferenza e l’intensità emotiva che hanno dovuto provare i protagonisti nel riguardare un percorso mediatico spesso violento e discriminatorio. Anche dal lato del pubblico, è impossibile arrivare alla fine del documentario senza provare un profondo senso di disagio. Ma è proprio questo sentimento di malessere, di fastidio, che è al centro degli stravolgimenti che gli Stati Uniti stanno vivendo in questo momento. È proprio da qui che possono partire dei movimenti di attivismo sociale che, in ultima istanza, si muovono per migliorare il mondo, così come lo conosciamo, per renderlo un posto migliore per tutti. La rappresentazione, ancora una volta, diventa centrale, ancor più dell’essere, perché è tramite essa che il mondo ci percepisce: non possiamo pensare di vivere in una società inclusiva se i mezzi di comunicazione di massa ci continuano a mostrare solo una fetta ristretta e stereotipata di mondo. Ripartire dai corpi queer e dalle soggettività trans, chiedere e fare domande su ciò che non si conosce, e fruire liberamente di materiale che, per una volta, ci mostri davvero la pluralità delle vite e delle storie che ci sono intorno a noi. Sicuramente Disclosure non è abbastanza, e non è la conclusione di questo discorso, ma è senza dubbio un inizio.


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Le attrici Hunter Schafer e Zendaya Maree Stoermer Coleman nella serie HBO Euphoria
- Lucia Pasini
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