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Gender Studies & Queer Culture

Intersezionalità: non soltanto un rimedio per i dolori del femminismo

7/3/2020

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“INTERSEZIONALITÀ” PARE ESSERE DIVENTATA LA NUOVA PAROLA CHIAVE DEL FEMMINISMO CONTEMPORANEO, MA DIETRO ALLA FACCIATA PROGRESSISTA SI NASCONDONO INTESI DIBATTITI. COME POSSIAMO COMPRENDERE E APPLICARE IL CONCETTO DI INTERSEZIONALITÀ SENZA PERDERE DI VISTA RADICI, COMPLESSITÀ E PROBLEMATICHE?
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Quando si parla di intersezionalità in relazione alle lotte ed agli studi femministi, spesso s’intende l’adozione di una prospettiva critica che tenga conto delle interconnessioni tra oppressioni sociali. In altre parole, intersezionalità è una metafora per capire come talvolta forme di disuguaglianza ed oppressione molteplici siano correlate e creino ostacoli che fanno fatica ad essere compresi dai normali strumenti di cui le lotte femministe si sono dotate negli anni. 

TRAFFICO TRA MOVIMENTI E LOTTE: BREVE STORIA DELL'INTERSEZIONALITÀ
Il termine è stato coniato dall’accademica Kimberlé Williams Crenshaw in un famoso saggio pubblicato nel 1989, intitolato
Demarginalizzare l’intersezione tra etnia e genere: una lettura critica nera e femminista della dottrina di antidiscriminazione, della teoria femminista e delle politiche antirazziste. Utilizzando l’immagine di un’intersezione stradale come metafora, Crenshaw sostiene che troppo spesso etnia e genere si teorizzino come categorie singole che si escludono a vicenda e non si intersecano. Docente di legge presso la Columbia University di New York, Crenshaw è una donna nera e lesbica in una realtà accademica e di lotta politica che non dà spazio alla costellazione d’identità di cui lei fa parte.
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Yoni Alter, Intersection
Consideriamo [...] il traffico ad un intersezione stradale, che viene e va in tutte e quattro le direzioni. Così, la discriminazione può scorrere nell’una e nell’altra direzione. E se un incidente accade in corrispondenza di un incrocio, esso può essere stato causato dalle automobili che viaggiavano in una qualsiasi delle direzioni e, qualche volta, da tutte e quattro. Analogamente, se una donna nera viene ferita ad un’intersezione, il suo infortunio potrebbe derivare dalla discriminazione sessuale o dalla discriminazione razziale [...] Ma non è sempre facile ricostruire un incidente: a volte i segni della frenata e le lesioni semplicemente stanno a indicare che questi due eventi sono avvenuti contemporaneamente, dicendo poco su quale conducente abbia causato il danno. [1]
La discriminazione subita dalle donne nere, afferma Crenshaw, è allo stesso tempo simile e dissimile da quella subita dagli uomini neri e dalle donne bianche: non si tratta né semplicemente della somma di discriminazioni, né della loro alternanza a seconda degli ambienti e delle circostanze. Il genere e l’etnia si co-creano a vicenda e formano un’identità unica con una combinazione di esperienze uniche. L’intento di quel testo formativo del 1989 era di dare una scossa ai movimenti femministi e di liberazione nera, di spingerli ad espandere e complicare le loro riflessioni attraverso la vera inclusione delle esperienze intersezionali dei propri membri costituenti. 
L’intersezionalità come strumento di richiamo alla complessità risale, tuttavia, a molto prima del testo di Kimblerle Crensaw. Si cita spesso come antesignano del concetto di intersezionalità il discorso “Ain’t I a Woman” di Sojourner Truth [2], attivista per il movimento dei diritti civili de* Afroamerican*, pronunciato con fervore e nonostante le tentate interruzioni da parte di femministe bianche alla Women's Convention in Ohio, nel maggio 1851. Il suo discorso dimostra come le identità non siano immanenti e riducibili ad un singolo fattore, ma processi in continuo sviluppo modulati da relazioni di potere. Insieme al discorso di Truth, un altro momento fondante per la storia dell’intersezionalità è il manifesto del Combahee River Collective [3], un collettivo di femministe nere attivo a Boston nella seconda metà degli anni settanta. Lo scenario in cui questo manifesto si presenta è quello dei movimenti separatisti femministi degli anni 70’- 80’ in cui risuona l’insoddisfazione delle femministe nere che risentono del razzismo presente negli ambienti bianco-dominati di lotta sociale femminista. 
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IMBIANCARE L'INTERSEZIONALITÀ
Comincia ad apparire evidente come il concetto di intersezionalità sia inestricabilmente legato ad una critica antirazzista del movimento femminista. Negli ultimi anni, tuttavia, il concetto di intersezionalità si è espanso, includendo altri assi di oppressione come ad esempio la disabilità, la classe e l’orientamento sessuale. Movimenti femministi come Non una di Meno si dichiarano vocalmente intersezionali e in ambito accademico è raro imbattersi in un corso che tratti di storia femminista o studi di genere senza parlare di intersezionalità. Le conferenze internazionali sullo sviluppo di politiche di parità utilizzano un approccio intersezionale nella loro ricerca e la parola è ormai entrata nel gergo persino delle Nazioni Unite [4]. Dietro all’apertura e agli inciti di riflessione negli ambienti femministi che l’intersezionalità ha permesso, si celano però diverse critiche e problematiche in cui echeggiano le parole del collettivo Combahee e di Sojourner Truth. 
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Benedetto Cristofani, Breaking the Silence
L’importanza di complicare il concetto di oppressione e di relazione al potere è sicuramente innegabile. E’ fondamentale che i movimenti per i diritti delle persone con disabilità, delle persone LGBTQI+ e le lotte di classe trovino negli spazi di militanza femminista uno spazio di coalizione e non di discriminazione ulteriore, così come è necessario che le teorie femministe si articolino sulla base di una critica intersezionale che non si compiaccia del semplice elenco delle modalità di marginalizzazione di individui/animali/ambiente senza poi procedere ad un’analisi di essi. 
Eppure i dibattiti che si stanno svolgendo negli ultimi anni rivelano una tendenza sempre più diffusa a neutralizzare e “imbiancare” l’intersezionalità. Il termine “imbiancare” (in inglese whitewash) denota la pratica di appropriare e riarticolare teorie e politiche che hanno radici non eurocentriche e nere [5] da parte di persone bianche e/o attraverso un punto di vista eurocentrico. Sirma Bilge, docente presso l’università di Montréal, denuncia come l’intersezionalità stia correntemente attraversando un processo di istituzionalizzazione e domesticazione che la rende soltanto un ulteriore strumento di amministrazione neoliberale. L’intersezionalità, ammonisce Bilge, è nata e si è sviluppata come uno strumento delle attiviste nere contro il femminismo bianco e queste sue origini fortemente decoloniali e antirazziste si stanno mettendo sempre più da parte [5]. Troppo spesso l’intersezionalità viene invocata come rimedio per ogni male che affligge il femminismo, parola magica che provvede ad ogni lacuna di autocritica politica. 
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Project Twins, Yonderly
...l’isituzionalizzazione dell’intersezionalità diviene strumento per amministrare le minoranze e fungere da alibi razziale. L’invocazione ad una critica intersezionale viene [quindi] recitata invece di essere messa in pratica. [6]
Jennifer Nash, altra figura chiave nei dibattiti recenti, professoressa di Studi di Genere, sostiene che ostinarsi a portare avanti battaglie sulle origini del termine in un tentativo di purezza e possesso fine a se stesso sia ugualmente futile. Ricordare radici e storia del termine in maniera consapevole e contestuale è ben diverso. Nash invita, invece, a investigare i pericoli dell’istituzionalizzazione dell’intersezionalità e, come Bilge, riflette sull’incredibile potenziale di questo strumento per immaginare nuove politiche e coalizioni, creando critiche che cercano di essere generative e non sterili. 
Forse quindi, ciò che questi dibattiti [7] ci spingono a sentire è l’urgenza di resistere all’attrattiva di qualsiasi parola magica o rimedio privo di riflessione critica. Il razzismo ed il colonialismo insito nel femminismo bianco rimangono un’eredità con cui tutt* noi femminist* bianch* dobbiamo fare i conti. Dichiarare un movimento o una teoria come intersezionale senza essere consc* dei tentativi di cooptazione dell’intersezionalità da parte delle istituzioni e senza provare a resistervi con piena coscienza, finirà soltanto per produrre una performance. Occupare spazi di lotta sociale – virtuali e non – da persone bianche richiede la realizzazione del proprio coinvolgimento nei sistemi di oppressione che si cerca di combattere, e l’intento di immaginare, insieme a femminist* ner* modi nuovi e diversi di stare, teorizzare, pensare, agire insieme.
- Elena Ascione


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[1] Crenshaw Kimblerle, “Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics”, 1989
[2] Sojoruner Truth, “Ain’t I a Woman”, 1851
[3] Combahee River Collective, “The Combahee River Collective Statement”, 1977
[4] Hearn Jeff, “Di cosa parliamo quando parliamo di intersezionalità”, 2017
[5] Qui e in varie altre parti del testo sarebbe più appropriato l’uso del termine POC (“people of color”), termine che viene erroneamente tradotto e sostituito in italiano con il calco “persone di colore” che sottolinea soltanto la differenza con coloro che non hanno bisogno di specifiche razziali. Si tende dunque ad utilizzare “nero/a/i/u” come termine ombrello che indica una moltidudine di identità etniche. Io non sono per nulla soddisfatta di questa traduzione che dimostra chiaramente l’indifferenza e la violenza bianca nel non dare nome. Putroppo ammetto di non aver trovato una soluzione e di domandarmi se stia a mein primo luogo questo compito. Invito tutt* voi che state leggendo a riflettere e ad immaginare nuove parole. 
[6] Bilge Sirma, “Whitening Intersectionality: Evanescence of Race in Intersectionality Scholarship”, 2014
[7] Nash Jennifer, “Intersectionality and its Discontent”, 2017
[8] Tengo a sottolineare che naturalmente i dibattiti che espongo sono soltanto un’estrema sintesi dei dibattiti che sono avvenuti e che tutt’ora avvengono non solo in ambito accademico ma in ambito di militanza femminista. Non si tratta solo di un’estrema sintesi, ma anche di una scelta politica che ho fatto (consapevolmente e non) nell’evidenziare alcune voci rispetto ad altre. Invito chiunque sia stat* così coraggios* da arrivare a leggere fino a questa nota a continuare ad informarsi e ad ampliare la propria opinione in merito cercando, magari, voci che in questo articolo non hanno avuto spazio.



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